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L’insulina orale è sempre più vicina

Data di pubblicazione: 28/03/2024

Il presente è caratterizzato ancora dalla somministrazione sottocutanea giornaliera: con iniezioni o mediante infusori. Il futuro prossimo – come raccontato a settembre scorso su queste pagine – potrebbe registrare il passaggio alla terapia settimanale.

La vera svolta agognata da decenni nella gestione del diabete (soprattutto di tipo 1) è rappresentata però dalla possibilità di ricorrere alla terapia insulinica (seguita giornalmente quasi da un milione di italiani) per via orale.

Un’ipotesi su cui la comunità scientifica ha finora lavorato – dalla Cina all’Europa – senza ottenere risultati particolarmente significativi. Ma che potrebbe concretizzarsi nell’arco di un decennio, se i risultati ottenuti da un gruppo di ricercatori australiani e pubblicati su Nature Nanotechnology dovessero trovare conferma pure nell’uomo.

“Entro tre anni contiamo di concludere la sperimentazione clinica”, ha affermato Nicholas Hunt, scienziato del Sidney Nano Institute e primo autore dello studio.

Se l’ormone viaggia in capsule

L’articolo riporta l’esito di una sperimentazione condotta su diversi animali, in cui è stata misurata la risposta alla somministrazione di insulina per via orale.

L’ormone è stato incapsulato in nanovettori di solfuro d’argento, secondo un modello già testato con la metformina. Lo sviluppo di capsule di questo tipo ha permesso di superare un ostacolo finora insormontabile: la degradazione a cui l’ormone va incontro nel passaggio attraverso lo stomaco e l’intestino, a opera dell’ambiente acido e degli enzimi digestivi.

Questa volta, come spiegato dal biologo Peter McCourt dell’Università Artica della Norvegia (Tromso), “abbiamo creato un rivestimento in chitosano e glucosio, per proteggere l’insulina dalla disgregazione e mantenerla al sicuro fino al fegato”. Un approccio valido per la somministrazione orale di peptidi, da veicolare non soltanto verso la centrale energetica dell’organismo.

Una volta che la capsula è giunta a destinazione, la struttura di protezione è stata degradata da enzimi (cellulasi e glucosidasi) attivi soltanto in presenza di elevati livelli di zucchero nel sangue.

Il trattamento è risultato così più preciso: con il rilascio di insulina e il successivo stoccaggio del glucosio ematico (sottoforma di glicogeno) nel fegato, nei muscoli e nel tessuto adiposo. “Perché in questo modo l’insulina arriva rapidamente dov’è maggiormente richiesta, mentre quando la si somministra con un ago si diffonde in tutto il corpo e può provocare anche effetti collaterali: dall’aumento del tessuto adiposo alla comparsa di ipoglicemia”.

Un’alternativa “smart” per il controllo della glicemia

Somministrata anche incorporando i nanovettori in pezzetti di cioccolata (senza zucchero), l’insulina orale è stata testata soltanto su modelli animali (nematodi, topi, ratti e babbuini). Diabetici e non. In tutti i casi, il risultato ottenuto è stato il medesimo: un effetto ipoglicemizzante dipendente dalla dose di ormone somministrata, senza tossicità.

Un aspetto frutto della natura dei nanovettori che, alla luce del loro meccanismo d’azione, potrebbero ridurre anche i rischi per i pazienti. I ricercatori hanno infatti osservato che, essendo l’insulina liberata soltanto quando i livelli di zucchero nel sangue sono elevati (come avviene nel pancreas, in condizioni fisiologiche), il rischio di comparsa di crisi ipoglicemiche potrebbe essere più basso rispetto a quanto si rileva soprattutto con le iniezioni.

Al di là del possibile miglior controllo della malattia, c’è da considerare anche la maggiore potenziale praticità. L’insulina orale azzererebbe le iniezioni nel corso di una giornata, senza peraltro dover costringere il paziente a preoccuparsi della conservazione delle siringhe in ambiente refrigerato (il nano-carrier preserva la struttura proteica dell’insulina).

Un aspetto, quest’ultimo, che potrebbe favorire un incremento della disponibilità del farmaco nei Paesi a basso reddito, in cui si continua a registrare una bassa adesione alla terapia e un inevitabile più alto tasso di complicanze legate alla malattia.

A ciò occorre aggiungere che le opzioni terapeutiche attualmente disponibili non sempre risultano gradite ai bambini e agli anziani con diabete di tipo 1, ai pazienti già affetti da una malattia neurodegenerativa o alle persone con una recente diagnosi di diabete di tipo 2 che necessitano delle iniezioni di insulina.

In tutti questi casi la possibilità di ricorrere a una terapia orale eviterebbe l’esitazione e migliorerebbe l’aderenza alla terapia sostitutiva.

Il Nobel per la chimica 2023 all’origine dell’insulina orale

La possibilità di arrivare allo sviluppo di un’insulina orale nasce dalla scoperta e dalla sintesi dei punti quantici.

Un’intuizione che nel 2023 è valsa il premio Nobel per la chimica assegnato agli scienziati Moungi Bawendi (Mit Boston), Louis Brus (Columbia University, New York) e Alexei Ekimov (Nanocrystals Technology, New York). Si tratta di nanoparticelle che finora sono state utilizzate perlopiù per diffondere la loro luce dai televisori e dalle lampade a Led e per guidare i chirurghi durante alcuni interventi.

Il gruppo di Hunt ha iniziato a lavorare con i corpi quantici – la cui dimensione è inferiore di circa diecimila volte rispetto alla larghezza di un capello umano e di un milione di volte rispetto alla dimensione di un dito – anche per favorire lo sviluppo di nuovi farmaci orali.

L’esperienza con l’insulina sembra aver permesso di superare il limite che più di tutti finora ha frenato lo sviluppo della terapia orale: la degradazione dell’ormone a livello gastrico e il ridotto assorbimento nell’intestino.

Entro il 2025 al via la sperimentazione clinica

Ottenuti questi risultati, il prossimo passo è rappresentato dalla sperimentazione clinica. I trial sull’uomo inizieranno nel 2025, guidati dalla giovane company biotech Endo Axiom.

 “Nella fase 1 – ha spiegato Hunt – valuteremo la sicurezza dell’insulina orale e analizzeremo l’incidenza dell’ipoglicemia in pazienti sani e diabetici di tipo 1. Vogliamo capire se sarà confermata l’assenza di ipoglicemia già osservata nei babbuini: già questo rappresenterebbe un significativo passo in avanti. Dopo questa fase sapremo se l’insulina orale è sicura per gli esseri umani e studieremo come potrà sostituire le iniezioni per i pazienti diabetici negli studi di fase 2 ed eventualmente 3”.

A guardare con interesse al lavoro dei ricercatori australiani non sono soltanto i produttori di insulina, ma anche di altri farmaci utilizzati nella terapia del diabete (a partire dagli analoghi del Glp-1) e di diverse malattie autoimmuni. “Con il crescente numero di persone affette da diabete da queste condizioni – è il pensiero dei ricercatori australiani – lo sviluppo di nuove strategie di gestione è fondamentale”.

Tratto da: Aboutpharma, Fabio Di Todaro, 27 marzo 2024


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