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Sindrome metabolica, quanto conta il microbiota intestinale?

Diabete, ipertensione e disturbi cardiovascolari possono essere collegati alla composizione dei «batteri buoni» che abitano il nostro intestino. Dal tipo di cibi che scegliamo.

E se fosse tutta colpa del microbiota, la massa di batteri che abitano nel nostro intestino? La composizione delle popolazioni batteriche intestinali si sta rivelando importante nello sviluppo di molte malattie e la sindrome metabolica sembra non fare eccezione: stando alla revisione degli studi in materia condotta da ricercatori del Cedars-Sinai Hospital di Los Angeles, la flora batterica intestinale influenza moltissimo il rischio di ammalarsi perché alcune specie producono sostanze utili al benessere, come vitamine o composti con attività antiossidante o antinfiammatoria, altre al contrario sintetizzano «tossine» che possono peggiorare l’attività immunitaria locale, favorire l’infiammazione, modificare gli equilibri energetici e i processi metabolici. La presenza delle une o delle altre dipende dall’alimentazione e dallo stile di vita e una disbiosi, ovvero un’alterazione dell’equilibrio della flora intestinale, si sta rilevando in tutte le condizioni associate alla sindrome metabolica, come nel diabete di tipo 2 o in caso di obesità, dove sembra coinvolto nella capacità di immagazzinare il grasso.

Rischio lipidico

Una ricerca dell’università di Groningen in Olanda ha ipotizzato che il microbiota sia coinvolto nelle alterazioni del profilo lipidico e, per esempio, in chi ha trigliceridi e colesterolo «cattivo» Ldl elevati ci sia una minor varietà di specie; infine, la flora batterica intestinale sembra avere un ruolo anche nella pressione alta, forse perché alcuni metaboliti batterici influenzano il sistema renina-angiotensina che la controlla. Gli studi sul microbiota sono all’inizio e ancora non è semplice capire quali delle centinaia di specie presenti siano «buone» o «cattive» per il rischio metabolico, né tantomeno intervenire per modificarle in modo da condizionare la probabilità della sindrome; tuttavia prendersi cura dell’intestino è una strada che si sta percorrendo, anche con buoni risultati. È il caso degli studi su complessi macromolecolari derivati da vegetali che possono rimodulare la composizione del microbiota, riducendo le specie che aiutano a prendere il massimo dell’energia dal cibo che mangiamo a favore di quelle che invece aiutano a sbarazzarsi dell’eccesso: lo ha dimostrato uno studio italiano pubblicato su Scientific Reports, condotto su topolini sottoposti a una dieta ad alto contenuto di grassi tale da far sviluppare loro il corrispettivo di una sindrome metabolica. Il complesso macromolecolare sperimentato, che contiene polisaccaridi ottenuti dalla cellulosa e da diverse specie vegetali (cicoria, lino, tiglio, altea, fico d’India e una pianta asiatica, il konjac), influenza le popolazioni batteriche presenti e modula la quantità di due famiglie microbiche, i Firmicutes e dei Bacteroidetes, con il risultato di ridurre l’energia assorbita a livello intestinale mentre aumentano i carboidrati espulsi con le feci; inoltre il gel formato dai polisaccaridi sequestra grassi e zuccheri, schermandoli dagli enzimi digestivi e accelerandone il transito, per cui sia il microbiota sia l’intestino li assorbono di meno.

Ruolo delle fibre

«I cibi raffinati di cui è ricca la nostra alimentazione sono poveri di fibre idrosolubili e questo condiziona le specie batteriche capaci di prosperare nell’intestino, selezionandone di negative che facilitano la sindrome; il complesso è un mezzo per fornire le fibre necessarie ai batteri buoni, favorendone la moltiplicazione», spiega Stefano Stagi, pediatra endocrinologo dell’Ospedale Pediatrico Universitario Meyer di Firenze che ha testato il complesso su bimbi e adolescenti . Lo studio sui topolini ha dimostrato che modulare il microbiota in senso positivo favorisce anche l’utilizzo dei depositi energetici da parte del fegato; il risultato è un calo del peso e del girovita, mentre glicemia, colesterolo e trigliceridi si riducono e aumenta la sensibilità all’insulina. Migliorano, insomma, tutti i parametri della sindrome metabolica.

L’importanza della dieta

Buoni risultati con il complesso a base di polisaccaridi sono stati ottenuti anche nell’uomo, sugli adulti e pure su bambini e adolescenti. Stefano Stagi, dell’università di Firenze li ha testati sui giovanissimi e spiega: «I nostri studi e indagini simili condotte dall’università di Verona indicano che questo “surrogato” di una dieta ricca di fibre idrosolubili può aiutare a ridurre la resistenza all’insulina e migliorare il metabolismo del glucosio in bambini e adolescenti obesi con sindrome metabolica. La riduzione del picco di glicemia dopo il pasto possibile con il complesso regola gli ormoni del tratto gastrointestinale e questo sembra il meccanismo principale alla base dei suoi diversi effetti positivi: anche la diminuzione dei grassi in circolo (il colesterolo Ldl si abbassa del 20% mentre l’Hdl aumenta del 16, ndr) sembra dipendere più dal diverso assetto ormonale e dalla miglior funzionalità epatica che dal minor assorbimento di grassi. Un elemento positivo, perché significa non incidere sull’assimilazione intestinale delle vitamine liposolubili, che potremmo “perdere” se ci fosse un taglio troppo drastico dell’assorbimento dei lipidi». Certo l’obiettivo resta promuovere una dieta ricca di fibre da vegetali, il metodo più infallibile per «prendersi cura» del microbiota. E come specifica Stagi, «Nel caso dei giovanissimi obesi è indispensabile seguire le famiglie: un intervento che funziona passa da un lavoro sull’ambiente in cui vive il piccolo, che spesso è obesogeno perché i genitori non hanno abitudini corrette o la giusta percezione del problema».

Tratto da: Corriere della Sera Salute, Elena Meli, 10 marzo 2021