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20 minuti di attività fisica al giorno a 70 anni riducono il rischio di malattie cardiache in età più avanzata

A 70 anni si ha l’età giusta per prevenire malattie cardiache nei successivi 20 anni. Bastano 20 minuti di attività fisica moderata o intensa al giorno per proteggere il cuore dallo scompenso cardiaco. Lo dimostra uno studio italiano su Heart.

Meglio tardi che mai. Cominciare a 70 anni a svolgere una regolare attività fisica può aiutare a proteggere il cuore negli anni successivi.

Non c’è bisogno di grandi sforzi: bastano 20 minuti al giorno di allenamento per allontanare le probabilità di sviluppare malattie cardiache come lo scompenso cardiaco nei decenni successivi. Lo dimostra uno studio condotto in Italia e pubblicato sulla rivista Heart chiamato “Progetto Veneto Anziani (ProVA)”. La ricerca, a cui hanno partecipato 3099 volontari dai 65 anni in su, è una delle prime a valutare i benefici di una conversione tardiva allo “sport” sui rischi di ictus, infarto o insufficienza cardiaca.

Finora, dai tanti studi sull’argomento, era emerso un generico effetto protettivo dell’attività fisica sul cuore senza indicazioni specifiche per le differenti fasce di età. Il messaggio è stato quasi sempre indirizzato a tutti: muoversi fa bene, a qualunque età. Ora invece l’invito ad allenarsi è rivolto in particolare alle persone di 70 anni che hanno l’età giusta per assicurarsi una vecchiaia in salute.

I ricercatori hanno cominciato a effettuare le prime valutazioni della salute dei partecipanti tra il 1995 e il 1997, con una dettagliata anamnesi,  una serie di esami del sangue e indagini ecografiche. Il check up è stato ripetuto a distanza di 4 e 7 anni.

All'inizio dello studio, le donne avevano maggiori probabilità rispetto agli uomini di avere quattro o più condizioni patologiche coesistenti, con una maggiore prevalenza di osteoartrite, osteoporosi e malattie renali croniche.  La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e il diabete erano più comuni tra gli uomini. I partecipanti hanno compilato alcuni questionari indicando il livello di attività fisica al momento del controllo. Le attività che contavano ai fini dello studio erano quelle di intensità moderata, come passeggiate, gioco delle bocce, pesca, oppure di intensità vigorosa come giardinaggio, allenamenti in palestra, ciclismo, ballo e nuoto. Per essere definiti “attivi”, i partecipanti dovevano svolgere ogni giorno almeno 20 minuti di attività fisica.

Chi restava al di sotto di quella soglia era definito inattivo. Gli uomini erano più attivi delle donne.

Gli scienziati hanno classificato i partecipanti anche in base ai cambiamenti nel tipo e quantità di attività fisica rispetto agli anni precedenti. Distinguendo tra chi era rimasto inattivo, chi era passato dalla inattività all’attività, chi al contrario dall’attività all’inattività e chi si era mantenuto attivo.

La salute di tutti i partecipanti è stata quindi monitorata grazie ai dati raccolti negli archivi sanitari.  Durante il periodo di monitoraggio sono state effettuate 1037 nuove diagnosi di malattie cardiache, insufficienza cardiaca e ictus.

Chi aveva aumentato il livello di attività fisica o si era mantenuto attivo nel tempo, indipendentemente dal sesso, aveva avuto un rischio minore di malattie cardiovascolari. Chi invece aveva ridotto l’attività fisica aveva aumentato le probabilità di sviluppare malattie cardiache. La più maggiore riduzione del rischio è stata osservata per i nuovi casi di malattia coronarica e insufficienza cardiaca in tarda età. Non è stata osservata alcuna associazione significativa tra attività fisica e ictus. L’attività fisica che assicura i benefici maggiori è quella di intensità media-vigorosa di durata tra i 20 e i 40 minuti svolta quotidianamente.

Secondo quanto osservato il momento migliore in tarda età per convertirsi al movimento è a 70 anni, dopo potrebbe essere troppo tardi anche se resta valido il consiglio di combattere la sedentarietà sempre a qualunque età.

«Gli effetti benefici dell’attività fisica potrebbero essere semplicemente spiegati dalla capacità di rallentare il processo aterosclerotico attraverso un miglior controllo della pressione sanguigna, dei livelli di glucosio e del profilo lipidico», ipotizzano gli autori di un editoriale di accompagnamento allo studio.

Tratto da Healthdesk, 22 febbraio 2022