Dopo un infarto, attenti alla paura di star di nuovo male
Per qualcuno si crea una sorta di allerta permanente. Che mette ancora più a rischio cuore e arterie e aumenta i pericoli di nuovi attacchi. Fondamentale il supporto psicologico, insieme alla riabilitazione.
Non facciamoci “rovinare” la vita dall’infarto. È giusto prestare ancor più attenzione alla salute del cuore, controllare al meglio i fattori di rischio come colesterolo LDL, ipertensione, sovrappeso e diabete. Ma non dimentichiamo che bisogna anche fare attenzione alla psiche. E non solo perché il timore di un nuovo attacco cardiaco si associa a maggiori probabilità di sviluppare ansia e/o depressione. Bisogna pensare attenzione all’ansia permanente. Una recente metanalisi ha evidenziato come pazienti con storia di infarto miocardico affetti da ansia sperimentino un incremento del rischio di eventi clinici avversi di circa il 27% rispetto a pazienti non ansiosi.
Lo stress pesa sul benessere
Insomma, lo stress creato dalla paura di una nuova ischemia, infatti, può pesare sul benessere. E molto. A farlo sospettare è una ricerca presentata come semplice abstract scientifico al convegno dell'American Heart Association tenutosi a Chicago. Dall’indagine, originale per la sua modalità di realizzazione attraverso i social media, emerge come la paura di un altro infarto possa influire sul processo di ripresa mentale ed emotivo dei pazienti cardiopatici.
Analisi via Facebook
La ricerca, coordinata da Sarah Zvonar dell’Università dell’Indiana ad Indianapolis, ha preso in esame i dati demografici, i comportamenti sanitari e la percezione della malattia da parte del paziente fossero da considerare indicativi della paura di avere un altro infarto e della percezione di stress. Attenzione. Sono stati presi in considerazione soggetti giovani, di età media intorno ai 40 anni, quindi una popolazione sostanzialmente diversa da quella che più classicamente va incontro ad ischemie cardiache. I ricercatori hanno pubblicato annunci su Facebook per reclutare volontari per lo studio, ovvero persone che avevano avuto un infarto tra il 2021 e il 2022. Chi ha risposto è stato reindirizzato virtualmente a un gruppo Facebook di nuova creazione con link a questionari standard che valutavano la paura di una recidiva, la percezione della loro malattia, lo stress, l'ansia e la depressione. Il tutto, ovviamente, considerando anche i comportamenti in termini sanitari. I dati di 171 persone sono stati valutati due volte, più o meno sei e otto mesi dopo l'infarto.
Sempre sul chi vive
“L’evento acuto innesca spesso uno stato di “allerta permanente” che inevitabilmente si traduce nel timore di incorrere in un nuovo episodio – commenta Giovanni Esposito, Direttore del Dipartimento Scienze Cardiovascolari presso l’Università Federico II di Napoli - La paura della ricorrenza può rappresentare di per sé un fattore di rischio cardiovascolare: al di là della stimolazione continua del sistema nervoso autonomo che comporta un aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, frequentemente i pazienti adottano misure comportamentali iperprotettive, riducendo al minimo l’attività fisica e le interazioni sociali. Questi fattori innescano un circolo vizioso che autoalimenta di per sé il rischio cardiovascolare”. Il continuo stato di allerta e la perdita di fiducia nei confronti del proprio stato di salute comportano la perdita dei filtri che permettono di discernere un sintomo “benigno” da uno che è degno di essere approfondito. “Questo inevitabilmente si traduce in un numero elevato di accessi impropri in pronto soccorso, con ripercussioni in termini sia organizzativi che di spesa sanitaria – fa sapere l’esperto”.
Il timore pesa, eccome
La paura di avere un altro infarto è sicuramente importante. E stando allo studio il tempo non sembra lenire i timori per la salute cardiovascolare. Tra l’altro, nemmeno trattamenti specifici per controllare depressione e ansia hanno ridotto l'impatto psicologico dello spettro di una recidiva. Sul fronte delle abitudini, chi ha consumato più alcolici parrebbe avere maggiori probabilità di provare sia la paura di un altro infarto che livelli più elevati di stress percepito, sia pure se con assunzione molto limitata. Oltre ad osservare come non ci siano rapporti tra aderenza alle indicazioni del curante per alimentazione, fumo ed esercizio fisico e possibili timori per la salute cardiaca e lo stress dall’indagine appare chiaro come il controllo dello stress e della paura sia fondamentale. E come il rapporto medico-paziente vada privilegiato anche nel senso di “restituire” tranquillità. Lo conferma in una nota l’autrice dello studio, segnalando come “siano tante le nuove informazioni sulla salute che i pazienti devono elaborare dopo un primo infarto: come migliorare la dieta, l'esercizio fisico, le cure di follow-up, la riabilitazione cardiaca, eccetera”.
Consigli su misura
Insomma. Facciamo attenzione. “Occorrono un monitoraggio attento e consigli su misura per ogni persona, oltre ad aumentare la consapevolezza del problema sia a livello individuale che sociale – conclude Esposito. È necessario promuovere misure atte a favorire un approccio integrato per il paziente che ha sperimentato una sindrome coronarica acuta, che tenga conto non solo della salute fisica ma anche del benessere mentale, nell’ottica di una collaborazione tra medici, psicologi e familiari che perseguano insieme l’obiettivo di migliorare la qualità di vita dei pazienti”.
Tratto da: La Repubblica Salute, Federico Mereta, 24 novembre 2024