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Dialisi a casa, solo pochi la sfruttano

 

Remuzzi: «Procedura risulta complicata per gli anziani
e la macchina accanto al letto può disturbare il sonno»
MILANO - A prima vista la scelta sembra ovvia: piuttosto che doversi recare tre volte la settimana in ospedale o in un centro specializzato e restare legati per quattro ore a una macchina capace di depurare il sangue da tutte le scorie che vi si sono accumulate, molto meglio poter fare la dialisi a casa propria, sfruttando le capacità di filtro del peritoneo. Invece, pur informati di questa opportunità, la maggior parte dei pazienti con insufficienza renale cronica preferisce sempre più affidarsi alle mani dei medici. Lo dice un’indagine pubblicata sugli Archives of Internal Medicine e condotta negli Stati Uniti: a sei malati su dieci di quelli intervistati era stata prospettata, nel momento in cui i loro reni avevano smesso di funzionare a dovere, l’opzione della dialisi peritoneale, ma alla fine solo il 10,9 per cento di questi la praticava. Una proporzione in netta discesa rispetto ai primi anni Ottanta, quando, sempre negli Stati Uniti, la utilizzava il 17 per cento dei dializzati, per quanto quelli a cui allora veniva proposta fossero, in percentuale, meno della metà di oggi.
VANTAGGI E SVANTAGGI - «Ripetere la procedura quattro volte al giorno può essere complicato, soprattutto per gli anziani, che spesso sono diabetici e hanno anche problemi di vista - spiega Giuseppe Remuzzi, primario dell'Unità operativa di nefrologia e dialisi degli Ospedali Riuniti di Bergamo -. La versione automatizzata, che effettua gli scambi durante la notte, richiede il funzionamento di una macchina accanto al letto, che talvolta può disturbare il sonno. I più giovani, poi, accettano malvolentieri, per ragioni estetiche e pratiche, la presenza fissa di un tubicino nella pancia». Dal punto di vista medico, secondo un altro lavoro pubblicato insieme al primo, l’emodialisi in ospedale e la dialisi peritoneale a casa propria sarebbero però ugualmente sicure ed efficaci. «I risultati possono essere falsati dal fatto che la dialisi peritoneale è di solito scelta per i malati più giovani e in migliori condizioni generali - precisa Remuzzi -. L’esperienza clinica invece mostra che la procedura provoca spesso peritoniti, blocchi intestinali e infezioni anche letali». Questo tipo di cura, che comunque non si può proseguire per più di 5 o 6 anni al massimo, presenta però anche parecchi vantaggi: consente ai più giovani di continuare a lavorare regolarmente, permette agli anziani di non dover uscire da casa propria.
RISPARMIO ECONOMICO - «È vero che occorre un certo grado di autonomia o la collaborazione dei familiari, ma anche una badante può essere addestrata ad hoc - interviene Claudio Ronco, responsabile della Divisione di nefrologia, dialisi e trapianto renale di Vicenza, il cui Centro di dialisi peritoneale, con un centinaio di pazienti seguiti a casa loro, è il maggiore di Italia e di Europa -. Se nel nostro centro la percentuale dei dializzati a casa loro è del 40 per cento, significa che i pazienti, se si sentono sostenuti da una struttura organizzata e competente, scelgono volentieri la deospedalizzazione». La dialisi peritoneale costa anche molto meno: «Un’Asl che riuscisse ad applicare questa strategia su una ventina di malati potrebbe risparmiare circa mezzo milione di euro l’anno» sostiene l’esperto vicentino, che assicura: «Le vere controindicazioni al trattamento sono pochissime, per esempio il fatto di aver subìto in passato importanti interventi chirurgici all’addome. Per il resto, si tratta di individuare le difficoltà logistiche e cercare di superarle». A Vicenza aiuta la sicurezza di poter ricevere assistenza in qualunque momento, 24 ore su 24, sette giorni su sette, da parte di un centro appositamente dedicato. «Sta per partire poi un progetto di telemedicina - aggiunge Ronco -, per controllare a distanza che la procedura seguita sia quella giusta o che l’uscita del catetere non si stia infettando». «In ogni caso è fondamentale che il malato sia informato e, quando ce ne sono le condizioni cliniche, che sia messo in condizione di poter scegliere» conclude Remuzzi. Una libertà di scelta che In Italia invece purtroppo spesso manca, soprattutto al sud, dove l’80 per cento dei centri dialisi è privato e non ha quindi nessun interesse a perdere un cliente prospettandogli un’alternativa "fai da te".
Tratto da: Corriere della Sera Salute, Roberta Villa, 15 novembre 2010