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Radiofrequenze contro l'ipertensione

Mini-intervento chirurgico sul rene sperimentato con successo Risultati
Un'alternativa quando i medicinali non fanno effetto. La metodica è stata ben tollerata e la riduzione della pressione si manteneva dopo sei mesi dal trattamento
Mini-intervento chirurgico sul rene sperimentato con successo Risultati
Radiofrequenze contro l'ipertensione
Un'alternativa quando i medicinali non fanno effetto.
La metodica è stata ben tollerata e la riduzione della pressione si manteneva dopo sei mesi dal trattamento
MILANO - Semplice, anzi Symplicity. Chi soffre di un'ipertensione "resistente" ai farmaci, può ora ricorrere a un mini-intervento chirurgico sul rene, ancora sperimentale, ma molto promettente.
Lo dimostrano i dati di uno studio appena pubblicato sulla rivista Lancet, chiamato appunto The Symplicity Trial, dal nome del catetere usato. La procedura richiede meno di un'ora: consiste nell'introdurre, attraverso la cute, questo speciale catetere nell'arteria femorale e di spingerlo fino a quella renale, dove "libera" onde a radiofrequenza (IL METODO
Difficoltà da alta pressione
ESPERIMENTO - Lo studio, coordinato da un'équipe australiana e condotto in 19 centri sparsi non solo in Australia, ma anche in Europa e negli Stati Uniti, ha coinvolto un centinaio di pazienti: la metà è stata sottoposta all'intervento, l'altra metà no. E la differenza si è vista: nel primo caso la pressione, in una buona percentuale di pazienti, si è ridotta di 32 (la sistolica) e di 12 (la diastolica) millimetri di mercurio (classicamente la pressione si misurava con apparecchi che utilizzavano il mercurio e da questi si è mutuato il parametro di riferimento), nel secondo i valori non si sono modificati. Non solo: la metodica è stata ben tollerata e la riduzione della pressione rimaneva tale anche dopo sei mesi dal trattamento: tanto, infatti, è durato lo studio, ma secondo l'azienda che produce il catetere, l'effetto si mantiene almeno per due anni. L'alternativa "chirurgica" agli anti-ipertensivi sembra, dunque, funzionare, ma che cosa significa ipertensione "resistente" ai farmaci?
«Gli ipertesi "resistenti" ai farmaci e quindi potenziali candidati alla nuova cura - spiega Enrico Agabiti Rosei, direttore del Dipartimento di Scienze mediche dell'Università di Brescia - sono quei pazienti che, pur seguendo una terapia con almeno tre antipertensivi, compreso un diuretico, non riescono a riportare la pressione entro i limiti della normalità. Cioè: sotto i 140 mm di mercurio la pressione diastolica (la cosiddetta massima) e sotto i 90 la pressione sistolica (la minima). Valori che cambiano se il paziente è diabetico, nefropatico, ha già avuto un problema cerebrovascolare (tipo ictus) o cardiaco (tipo infarto o angina): allora è opportuno ridurre la pressione ancora di più: 130/135 per la massima e 80/85 per la minima». I "resistenti veri" alle cure vanno distinti da altri pazienti ipertesi che non tengono sotto controllo la pressione. «Una buona percentuale di ipertesi sa di esserlo, - continua Agabiti Rosei - ma non assume con regolarità i farmaci prescritti dal medico. Di tutti i casi di ipertensione soltanto il 25-30 per cento è tenuto sotto controllo, gli altri non lo sono». Poi ci sono i "falsi" ipertesi. Quelli da errori tecnici, come gli obesi, per esempio: se la loro la pressione viene misurata con un manicotto normale, i valori possono risultare più elevati. Altro capitolo: gli ipertesi da camice bianco. Sono coloro che, di fronte al medico, si "agitano" e vanno incontro a sbalzi di pressione. «Nei casi sospetti - suggerisce Agabiti Rosei - vale la pena di ricorrere al monitoraggio continuo della pressione per 24 ore». Da non dimenticare, infine, gli ipertesi da liquirizia e da farmaci (come i cortisonici o gli antinfiammatori non steroidei o la pillola contraccettiva): in questi casi si dovrebbe evitarne l'assunzione.
Tratto da: Corriere della Sera Salute, Adriana Bazzi, 30 novembre 2010