5permille
5x1000
A te non costa nulla, per noi č importante!
C.F. 98152160176

Con la sindrome metabolica aumenta anche il rischio di malattie renali

 

In aumento nel mondo occidentale, la Sindrome Metabolica colpisce in Italia dopo i 50 anni il 30 per cento degli uomini e il 35-40 per cento delle donne, ma dopo la menopausa, in particolare dai 60 anni, la sua prevalenza è nettamente più alta rispetto al sesso forte. Neppure i giovani, ormai sempre più in soprappeso, sono risparmiati. Il pericolo la salute è alto, in quanto - la comunità scientifica è concorde- esiste un rischio maggiore di patologie cardiovascolari, diabete mellito di tipo II, alcuni tumori, come il cancro della mammella e quello del colon-retto (per la probabilità più elevata di sviluppare polipi), così come di steatosi epatica o “fegato grasso”.
 
 
Alla lista vanno aggiunte ora anche le malattie renali, più frequenti in presenza di Sindrome Metabolica. A confermare il legame tra le due patologie è un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Clinical Journal of the American Society Nephrology (CJASN) e riportato dal notiziario Osservatorio Malattie Rare. Tanto da raccomandare nei pazienti con le alterazioni metaboliche tipiche periodici controlli della funzionalità renale. Per arrivare a queste conclusioni, gli autori della metanalisi (cioè la revisione e l'analisi di più studi e dati), della Cleveland Clinic, negli Stati Uniti, hanno esaminato undici studi differenti sul rapporto tra le alterazioni metaboliche e quelle renali, giungendo alla conclusione che i primi hanno il 55 per cento di possibilità in più di sviluppare anche una nefropatia. Un motivo ulteriore quindi per curarsi e cambiare stile di vita.
Una volta definita Sindrome X, la Sindrome Metabolica è infatti un insieme di alterazioni che espone a un rischio maggiore per la salute. Ne bastano tre per rientrare nella categoria: oltre all'aumento di grasso a livello dell'addome (il famoso “girovita”, che non dovrebbe superare certi limiti), ci sono la diminuzione del colesterolo HDL (quello buono) o i livelli superiori dei trigliceridi, l’ipertensione arteriosa o una glicemia a digiuno uguale o superiore a 100 mg/dl. Ai 5 parametri se ne è aggiunto un sesto, meno conosciuto, l’ipogonadismo maschile, cioè la ridotta produzione di testosterone da parte dei testicoli, caratterizzato da calo del desiderio sessuale, cambiamenti del tono dell’umore, aumento del grasso addominale, diminuzione della forza muscolare, osteoporosi.
Il punto di partenza della sindrome metabolica è l’insulino-resistenza (associata anche all’aumento del grasso addominale) cioè l’incapacità dell’insulina di svolgere i suoi effetti sulle cellule, favorendo l’utilizzazione del glucosio. Il pancreas aumenta quindi la produzione insulinica per mantenere nella norma i livelli di zuccheri (con conseguente aumento di insulina nel sangue). L’insulino-resistenza, oltre a favorire il diabete, aumenterebbe, secondo recenti studi, anche il rischio di sviluppare alcuni tumori.
Far regredire la Sindrome metabolica, riportando alla normalità i parametri alterati, è possibile, indirizzando chi ne soffre verso uno stile di vita e un'alimentazione in grado di prevenire le conseguenze peggiori. In realtà sarebbe necessario intervenire ancora più a monte, quando si è sani, seguendo un’alimentazione ipocalorica e controllata, ricca di frutta e verdura, cereali integrali, pesce, carni magre, e povera di grassi animali, mantenendo un peso corporeo ottimale, con un esercizio fisico costante, vero e proprio salvavita, smettendo di fumare, controllando la pressione e i livelli nel sangue di colesterolo, trigliceridi e zucchero.
I potenziali vantaggi ottenibili con queste misure “naturali” nella cura della sindrome metabolica possono portare alla sua regressione nella maggior parte dei casi e alla riduzione dei rischi cardiovascolari, metabolici e oncologici. Quando l’approccio “naturale” non si dimostra sufficiente, bisognerà ricorrere alla terapia farmacologica.
Tratto da: lifestyle, Brigida Stagno, 23 settembre 2011