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Prove di dialogo ospedale-territorio

 

Il cambiamento è iniziato. Ed è inesorabile. Qualche anno fa i malati cronici affollavano le corsie degli ospedali. Ora, per loro, i ricoveri sono diminuiti in modo significativo. E, con essi, i posti letto delle strutture ospedaliere. Si è passati, progressivamente, ad eseguire alcune prestazioni (la cataratta, il tunnel carpale, solo per citarne alcune) in ambulatorio, ultimo anello di una catena che è iniziata con il ricovero ordinario passando per il Day Hospital. Il futuro dell'ospedale - complice, in modo pesante, la scarsità di risorse economiche - è un percorso difficile verso il territorio.
Complice, anche, il numero di persone con patologie croniche che solo nel Bresciano supera le trecentomila unità e che richiede un impegno economico sempre più rilevante. Impegno che potrebbe presentare conti ben più contenuti - anche in termini di qualità della vita di ciascuno - se aumentassero gli investimenti sulla prevenzione che, secondo dati Ocse, nel nostro Paese sono pari allo 0,45% della spesa sanitaria.
Lo scenario è stato delineato ieri nella sede dell'Asl durante la presentazione del «Rapporto sanità 2011» della Fondazione Smith Kline che si riferisce al rapporto dinamico tra ospedale e territorio. In questo dinamismo parlare di prevenzione non è fuori luogo. Lo ha fatto il direttore generale dell'Asl, Carmelo Scarcella. Lo ha fatto Umberto Valentini, diabetologo da anni impegnato in un progetto di gestione della malattia che coinvolga tutte le parti in causa. In primis, il paziente «che deve essere educato ed istruito a gestire la sua malattia. Solo in questo modo - ha sottolineato - la persona diventa un elemento di efficienza del sistema». Evitando, dunque, che nella metà dei casi - tanti sono rilevati a livello europeo - il malato cronico si stanchi della propria malattia. E smetta di curarsi con ricadute pesantissime in termini di salute e, ovviamente, di costi economici.
Lo ha fatto Marco Trabucchi, responsabile sezioni Politiche sociali e sanitarie della Fondazione Smith Kline, tracciando alcune «aree di confine» per evitare che, a fronte degli scenari drammatici di riduzione di risorse, ad essere maggiormente penalizzate siano le aree più fragili della popolazione. Innanzitutto, la formazione. «Alcuni docenti universitari non hanno idea di cosa siano le malattie croniche: come fare a trasmettere questa cultura ai futuri medici?»; poi, i «protocolli condivisi» che vedano impegnati ospedali e realtà territoriali secondo «logiche condivise». Terza area, il sistema di remunerazione: «Parlare di spostamento di risorse dagli acuti ai cronici non significa nulla. Bisogna stabilire quanto spetta agli uni quanto agli altri. Ma bisogna anche chiarire il ruolo dei medici di medicina generale: se non capiscono bene qual è il loro mestiere, si rischia che il "tutor" che segue il paziente in ospedale estenda il suo ruolo anche al dopo-ricovero.
Un "dopo" che non può essere lasciato alla buona volontà di ciascuno, ma che deve avere solide basi che si avvalgono anche delle tecnologie. Infine, la scommessa potrà funzionare se le persone avranno piena coscienza dei loro diritti».
Tratto da: Giornale di Brescia, a. d. m., 27 settembre 2011