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Le pillole anti-zucchero promosse sul campo

 

Diabete Uno studio inglese, il più grande mai realizzato, ha valutato gli effetti dei farmaci ipoglicemizzanti su novantamila malati
Con la «vecchia» metformina si riducono al minimo gli infarti e si allunga la vita
I grandi numeri, non c’è dubbio, fanno sempre la differenza. Anche in medicina: uno studio sui farmaci del diabete diventa un evento se i malati presi in esame superano i novantamila. «Senza dubbio - commenta Antonio Pontiroli, professore di medicina interna dell’università di Milano presso l’ospedale San Paolo - ; nessuna ricerca clinica condotta finora sulla terapia del diabete ha sfiorato questi numeri». L’impresa è riuscita a Paul Elliott, dell’Imperial College di Londra, che scandagliando il database delle prescrizioni del Servizio sanitario britannico (quasi cinque milioni di pazienti) ha verificato il rischio di infarto, di scompenso cardiaco e di mortalità in generale a seconda delle pillole somministrate ad un esercito di persone, uomini e donne, colpite dalla malattia. Studio mastodontico, appena pubblicato sul British Medical Journal, ma capace anche di fornire una parola definitiva in merito? «Di definitivo in medicina non c’è niente, ma questo lavoro dà alcune conferme importanti - risponde l’esperto - . La prima e, forse, la più significativa è che la metformina è il farmaco "di prima scelta" per il diabete quando sono falliti i tentativi di tenerlo sotto controllo con la dieta e con l’attività fisica». Lo studio inglese mette bene in evidenza come la mortalità associata all’impiego della metformina (farmaco vecchio di cinquant’anni del quale non si conosce ancora perfettamente il meccanismo d’azione) sia più bassa rispetto a quella degli altri antidiabetici, sulfaniluree e glitazoni. «Conferma che impone una nuova mentalità - afferma Gabriele Riccardi, Presidente della Società italiana di diabetologia e professore di malattie metaboliche all’università Federico II di Napoli -. L’errore in cui incappa più facilmente il medico, ma talvolta anche lo specialista, è quello di dare la metformina ad un dosaggio troppo basso, mezzo grammo al giorno, mentre si può arrivare tranquillamente ai due grammi e mezzo. Inevitabile che si passi alle associazioni con le sulfaniluree che - lo dimostra bene questo studio - aumentano la mortalità, sia per un danno diretto sul cuore sia perché favoriscono gli sbalzi della glicemia». D’altro canto la metformina è la cura indicata come prima scelta anche dalla Società americana di diabetologia e da quella italiana e dai vari documenti di consenso in tutto il mondo. Più scivoloso il terreno della seconda scelta, qualora la metformina da sola non basti a tenere sotto controllo la malattia. Scelta che al momento attuale oscilla fra l’abbinamento con le sulfaniluree (farmaci vecchissimi, agiscono stimolando il pancreas a rilasciare l’insulina e sono a media o a lunga durata d’azione) o con i glitazoni, che aumentano la sensibilità delle cellule all’insulina (da noi sono in commercio due preparati: rosiglitazone e pioglitazone). Quest’ultimo promosso sul campo dalla ricerca inglese, mentre sul rosiglitazone restano le nubi di un possibile danno cardiaco, già emerso in altri studi. La conclusione? Se bisogna curare il diabete con i farmaci perché è fallito il programma dieta-esercizio fisico, la ricetta vincente è puntare sulla metformina; se non funziona, e si deve associare un altro farmaco, meglio il pioglitazione delle sulfaniluree. C’è, però, una novità: da poco sono entrate in commercio le incretine. Che cosa potranno fare di più? «Lo vedremo - dice Pontiroli - : il materiale non manca se è vero che i diabetici nel mondo saranno 380 milioni fra cinque anni».
Tratto da: Corriere della Sera Salute, Porciani Franca, 10 gennaio 2010