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I medici di famiglia sempre più «in gruppo»

 

Nel Bresciano si associa il 65% dei dottori e il 58% dei pediatri A breve, l’esodo sarà massiccio: il 54% ha tra i 49 e i 56 anni
Al grido d’allarme delle «cassandre» che prevedono un futuro in cui il numero dei medici di medicina generale sarà insufficiente a garantire un’adeguata assistenza sul territorio, si contrappone una realtà che, pur nella sua complessità, molto lascia presagire tranne l’avvicinarsi di un deserto assistenziale. Almeno sotto il profilo numerico.
I numeri nel Bresciano
A Brescia e provincia i medici di famiglia sono 750 (devono assistere tutte le persone dai 14 anni in su); i pediatri di libera scelta sono circa 150 (da 0 a 14 anni). Dunque, in rapporto alla popolazione, si hanno un medico di famiglia ed un pediatra ogni 1300 abitanti circa: un risultato ottenuto dopo una trattativa sindacale per superare la norma che stabiliva il rapporto ottimale in un posto ogni mille abitanti dai 14 anni in su.
L’obiettivo è quello di garantire a ciascuno un adeguato numero di assistiti affinché possa svolgere solo quella professione e non abbia bisogno di un doppio lavoro per vivere decorosamente.
Attualmente, i posti liberi tra città e provincia sono un centinaio anche se si sta procedendo alla loro copertura. In graduatoria c’è un numero sufficiente di professionisti per garantire la copertura dell’intero territorio. Ogni sei mesi gli aspiranti medici di famiglia chiedono di essere iscritti in uno o più «ambiti carenti» pubblicati sul sito della regione Lombardia, quelli in cui si è liberato uno o più posti di medicina generale. Solo nel Bresciano, gli ambiti sono una trentina. Quelli che «vanno a ruba» sono ovviamente i posti in cui il medico che si ritira aveva il massimo degli assistiti concesso, ovvero 1.500: in città sono una cinquantina con il «massimale» ma è evidente che la situazione è fluttuante e quello che vale per un medico non si ripete automaticamente per il collega che gli succede.
E se l’orientamento della prossima convenzione della medicina generale prevede, oltre ad una totale informatizzazione dei professionisti, anche una particolare attenzione nell’incentivare le attività di gruppo, dai dati del Bresciano emerge che la strada è già ampiamente intrapresa: il 65% dei medici di medicina generale lavora in forme associative, così come il 58% dei pediatri di famiglia.
Sempre più «vecchi»
«Se osserviamo l’anagrafe dei medici in attività, notiamo che il 54% dei medici di famiglia ha un’età che va dai 49 ai 56 anni e questo significa che tra poco andranno in pensione. Un’uscita massiccia, ma si deve considerare che nella graduatoria ordinaria ci sono almeno seimila medici «parcheggiati» in attesa di essere chiamati - spiega Ovidio Brignoli, da anni medico di medicina generale e presidente della Fondazione Simg -. Teoricamente potremmo avere medici per molti anni a venire anche se è evidente che chi non esercita la professione da tempo rischia di diventare desueto. C’è, tuttavia, la graduatoria speciale nella quale vengono inseriti tutti i medici di medicina generale che dopo la laurea hanno seguito il corso di formazione triennale ed hanno conseguito il diploma al termine della parte teorica e di tirocinio negli ospedali, sul territorio e negli studi di medicina generale. Se, in realtà, si attinge solo ad una parte della graduatoria ordinaria, per quella speciale il tempo di chiamata è relativamente contenuto, anche perché il corso bandito dalla regione è a numero chiuso: quest’anno, ad esempio, prevede 80 iscritti. Il turn over a livello regionale per il 2010 è di 350 posti».
La «mutua» non c’è più
L’analisi numerica non può essere scissa da una valutazione più in generale di una professione che negli ultimi trent’anni è radicalmente mutata. «In realtà - si chiede Brignoli - servono più medici di medicina generale o serve altro personale, diversamente qualificato, da inserire in una diversa organizzazione del lavoro che non può più essere anche solo quella di una decina di anni fa? Credo che manchino infermieri, nurse, personale qualificato che può recarsi a domicilio: se avessimo diecimila infermieri da collocare sul territorio avremmo risolto il problema con un risparmio notevole sotto il profilo economico. Del resto, per misurare la pressione, o il peso, o fare una intramuscolare credo che non serva un medico. E se, da un lato, le rivendicazioni della categoria sul fatto che il numero delle incombenze burocratiche è diventato soffocante sono in parte corrette, dall’altro credo che, invece di continuare a protestare, la categoria stessa dovrebbe attivarsi per avere più infermieri e più professionisti di supporto».
Il cambiamento deve essere culturale. Se, fino a trent’anni fa, il medico della mutua doveva dar risposte ai bisogni urgenti dei suoi assistiti (gastroenterite o polmonite, solo per fare un esempio), ora lo scenario è radicalmente mutato.
Solo nell’Asl di Brescia i malati cronici sono oltre 300mila. Che fare? L’aspetto della diagnosi non è più prioritario, in questo caso, ma anche quello della terapia è continuamente soggetto a cambiamenti. Solo una corretta integrazione tra le diverse figure mediche può giovare al paziente che, spesso, incontra una trentina di differenti «camici bianchi» e si ritrova in mano trenta diverse interpretazioni del suo problema.
Tratto da: Giornale di Brescia, Anna Della Moretta, 14 aprile 2010