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Ipertensione, le oscillazioni contano

 

UN NUOVO FATTORE DI RISCHIO
Per il rischio cardiovascolare la variabilità della pressione sembra più importante del valore medio
MILANO - «Non dovremo più chiedere “quant’è la tua pressione?”, ma piuttosto “quanto oscilla la tua pressione?”». Così Gianfranco Parati, direttore della Divisione di Cardiologia all’Auxologico di Milano e docente di medicina interna all’università di Milano-Bicocca, commenta gli studi usciti di recente su Lancet e Lancet Neurology, secondo cui per il rischio cardiovascolare conta più la variabilità delle misurazioni di pressione che il loro valore medio.
STUDI – La teoria che andava per la maggiore fino a poco tempo fa voleva che vi fosse una sorta di valore «vero» della pressione arteriosa, un numerino “magico” difficile da misurare in maniera precisa ma responsabile di fatto delle complicazioni correlate all’ipertensione. Su quello bisognava basarsi per decidere se il paziente era o meno a rischio e se le eventuali terapie avevano o no successo. «La variabilità della pressione è stata spesso considerata ininfluente, quasi un ostacolo nella quantificazione della “vera” pressione arteriosa», spiega Peter Rothwell del John Radcliffe Hospital di Oxford, in Inghilterra, uno degli autori degli studi usciti su Lancet. Rothwell e i suoi colleghi, studiando oltre 8mila persone, si sono accorti che la variabilità delle misure di pressione sistolica è tutt’altro che irrilevante: chi ha oscillazioni evidenti e momenti “occasionali” di ipertensione ha un maggior rischio di angina, ictus, infarto, insufficienza cardiaca. La probabilità di ictus cresce di 6 volte, ad esempio, se la massima è molto variabile nell’arco di sette visite. Perciò, osserva Rothwell, «Dovremmo smetterla di ignorare l’ipertensione episodica: è altrettanto rischiosa, non dobbiamo farci rassicurare da letture di pressione saltuariamente normali».
VARIABILITÀ – «La pressione arteriosa è un parametro dinamico, variabile a ogni battito del cuore e in risposta a esercizio fisico, emozioni, modificazioni del respiro – spiega Gianfranco Parati, a cui è stato chiesto di valutare i lavori scientifici su Lancet prima della loro pubblicazione –. La variabilità della pressione è quindi una caratteristica fisiologica. Dobbiamo perciò chiederci semmai fino a che livello le oscillazioni sono “normali” , e quando invece cominciano a rappresentare un pericolo. Le prime segnalazioni dei rischi associati ad un aumento della variabilità della pressione sono venute proprio dai nostri laboratori a Milano, alla fine degli anni ’80. Oggi – prosegue Parati – sappiamo perciò che negli ipertesi con una aumentata variabilità pressoria sono più frequenti i danni agli organi “bersaglio” dell’ipertensione (cuore, cervello, rene o occhio) ed aumenta il rischio di ictus, infarto e, più in generale, di morte per cause cardiovascolari. Gli studi su Lancet hanno riacceso i riflettori su questo tema, sottolineando la pericolosità dell’aumento delle oscillazioni non solo nell’arco delle 24 ore ma anche a lungo termine, cioè tra una visita medica e l’altra. Tutto ciò non significa che dobbiamo trascurare i valori medi di pressione – avverte l’esperto – ma che deve essere misurata anche la variabilità pressoria, da considerare come un fattore di rischio aggiuntivo. Farmaci diversi, tra l’altro, avrebbero effetti diversi sulle oscillazioni».
FARMACI – Secondo i dati raccolti da Rothwell, infatti, sarebbero soprattutto antipertensivi appartenenti alle classi dei «calcio antagonisti» e dei «diuretici» a ridurre la variabilità pressoria fra una visita e l’altra, riuscendo perciò a prevenire meglio l’ictus nell’arco di 5 anni indipendentemente dall’effetto sui valori medi di pressione. I beta-bloccanti invece aumenterebbero in maniera dose-dipendente le oscillazioni, e sarebbero perciò meno efficaci contro l’ictus. «Pur tenendo conto di alcuni limiti (la variabilità registrata dai ricercatori, ad esempio, potrebbe dipendere da una scarsa aderenza alle cure da parte dei pazienti), i nuovi dati confermano che per proteggere gli ipertesi non basta concentrarsi sulla riduzione dei valori medi di pressione arteriosa, ma occorre limitare l’entità delle oscillazioni, anche a lungo termine tra una visita medica e l’altra – osserva Parati –. Occorrono però conferme e anche una precisa valutazione degli effetti dei farmaci e dei fattori legati allo stile di vita (sovrappeso, sedentarietà, fumo, stress). Inoltre, bisogna capire se e come queste osservazioni debbano modificare l’impostazione delle cure: dobbiamo aumentare o ridurre la terapia sulla base di valori episodicamente elevati di pressione arteriosa? I dati disponibili non supportano ancora un tale atteggiamento, ma certamente occorre prestare più attenzione ai pazienti con marcata variabilità pressoria. E per meglio proteggerli, appare logico preferire farmaci in grado di ridurre la pressione in modo omogeneo e persistente lungo 24 ore e nei periodi tra una visita e un’altra. Da queste considerazioni deriva inoltre una nuova prova dell’utilità di una maggiore diffusione delle tecniche per il monitoraggio della pressione nelle 24 ore e, ancora di più, dell’automisurazione a domicilio», conclude l’esperto.
Tratto da: Corriere della Sera Salute, Elena Meli, 15 aprile 2010