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Chirurgia bariatrica: non solo calo di peso, ma anche controllo metabolico

Dalla chirurgia dell'obesità alla chirurgia metabolica. Ce ne parla Alessandro Giovanelli, responsabile chirurgia bariatrica e chirurgia mininvasiva dell'Istituto nazionale per la chirurgia dell'obesità (Inco), presso l'Istituto clinico Sant'Ambrogio di Milano.

Quali condizioni suggeriscono il ricorso alla chirurgia nei pazienti obesi?

In Italia sono stimati circa 1 milione e mezzo di individui affetti da obesità grave e potenzialmente curabili con la chirurgia bariatrica. Tuttavia vengono eseguiti non più di 8-9000 interventi l'anno. Quando gli interventi dietetici, impostati da dietologi e nutrizionisti sono stati tentati senza dare l'esito sperato, ci si può indirizzare verso la chirurgia, che comunque non deve mai essere il primo approccio.  In generale i parametri che si adottano sono: un indice di massa corporea (Bmi) fra 35 e 40 in presenza di malattie metaboliche o altre correlate; Bmi>40, anche in assenza di patologie.

Da cosa dipende l'approccio operatorio prescelto?

Tutto ciò che aggrava il quadro clinico del paziente indica la necessità di intervenire chirurgicamente per migliorare la sua salute. Si è visto infatti che con la chirurgia metabolica, parallelamente al calo di peso si riesce a controllare e migliorare la salute del paziente, per esempio nei casi di diabete e di altre malattie metaboliche.

La scelta della tipologia di intervento viene fatta attraverso uno studio multidisciplinare delle condizioni del paziente: si valutano aspetti comportamentali (rapporto con il cibo), l'assetto metabolico, quello psicologico (disponibilità a modificare il proprio comportamento verso il cibo). Nei centri di eccellenza di chirurgia bariatrica, l'intervento è quindi personalizzato e l'individuo viene seguito nel post-intervento sia da un punto di vista nutrizionale sia psicologico.

A grandi linee, si possono descrivere 3 modelli di intervento: quelli a carico dello stomaco, che aiutano il paziente a mangiare meno (restrittivi); quelli che impediscono l'assorbimento degli alimenti (malassorbitivi) e quelli che riducono la fame, dove il paziente consuma meglio ciò che mangia (metabolici o anoressizzanti).

Com'è la dieta in seguito all'intervento?

Viene di solito dato un periodo di svezzamento, di circa un mese, in cui si passa da consistenze più morbide a una dieta pressoché normale e bilanciata, in cui tutti i nutrienti vengono introdotti. Ci sono restrizioni solo verso i carboidrati semplici, che possono sminuire il risultato e verso l'assunzione di l'alcool.

Come si determina il successo di un intervento nel tempo?

Valutando l'entità del calo del peso e il suo mantenimento nel tempo e l'assenza di complicanze rilevanti. Un indicatore importante è anche il controllo delle malattie metaboliche o associate. Vi è poi in generale un recupero della qualità di vita, con apprezzabili ricadute sia a livello sociale sia di autostima.

Tratto da: Nutrizione33, Francesca De Vecchi, 12 febbraio 2016