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La riforma lombarda per la cronicità. Una cura di Stato “mutualistica”

La Lombardia rispetto alla cronicità propone una sorta di cura di Stato di stampo mutualistico cioè menù fissi a costo fisso differenziati per classi di patologie. Lo slogan famoso “non si può dare tutto a tutti” in Lombardia diventa “a tutti i cronici posso dare uno standard minimo oltre il quale dovete arrangiarvi”.

Un paio di settimane fa l’assessore alla sanità Gallera in un’intervista su questo giornale ha voluto spiegarci la “rivoluzione” in sanità della Lombardia.

Due anni fa, quando questa idea prese il via con una legge, espressi nei suoi confronti un certo interesse e alcuni apprezzamenti non senza sottolinearne aporie dubbi e interrogativi. Mi piaceva l’idea di una evoluzione del sistema sanitario lombardo a fronte dei riordini gestionali fatti dalle altre regioni praticamente con lo stampino.

Da allora ad oggi quella idea evolutiva di sanità ha preso corpo è stata strutturata con delle delibere esplicative fino a diventare il progetto illustrato da Gallera  nella sua intervista.

Non è facile capire a fondo la proposta lombarda. Di difficoltà interpretative se ne incontrano parecchie: ridondanza (una legge, due delibere, e un sacco di altri strumenti esplicativi), complessità del testo (rimandi, intrecci, petizioni di principio, algoritmi, tecnicismi, tabelle a non finire) Però ricorrendo al rasoio di Occam cioè sfoltendo la selva di quello che si dice, alcune cose mi sono risultate chiare. 

Repechage

Nella proposta della Lombardia c’è molto repechage: accorpamenti, integrazione tra ospedale e territorio, presa in carico, cronicità, prendersicura, non sono idee nuove.

Alla Lombardia tutta questa roba sembra nuova perché essa arriva a questi approcci con qualche decennio di ritardo. Il problema è che le idee che essa recupera alla luce dell’esperienza non sono andate oltre le dichiarazioni di intenti e nella stragrande maggioranza dei casi sono rimaste sulla carta. Il problema è stato da me abbondantemente illustrato con “la quarta riforma” spiegando cosa sia l’invarianza. La Lombardia se vuole fare davvero la rivoluzione non può pensare di cambiare le etichette davanti alla porta dei servizi a contenuti e a prassi invarianti.

Anche la trasformazione delle 15 ASL in 8 ATS (Agenzie di tutela della salute) con funzioni di gestione, programmazione e controllo, e la ridefinizione di 27 ASST (Aziende socio sanitarie territoriali) con il compito di erogare prestazioni sanitarie e socio sanitarie, non rappresentano una grande novità. Sono tutti giochetti ordinamentali che, sempre alla luce dell’esperienza, lasciano il tempo che trovano.

Molte regioni hanno organizzato le aziende non come usl ma come ussl, molte di esse hanno sperimentato la separazione della gestione dall’erogazione, alcune financo hanno provato a dare autonomia gestionale al distretto, altre hanno fatto diverse sperimentazioni gestionali ma senza ottenere un granché, altre ancora hanno fatto aziende uniche, aziende zero ecc.

Per quanto riguarda l’ospedale siamo passati dalle Ipap, all’ente ospedaliero, poi al servizio aziendale e quindi all’azienda autonoma scorporata, ma sempre a modello di ospedale invariante.

Dalle cose che ho letto non ho elementi per dire che in Lombardia sarà diverso.

Tuttavia a parte i riordini a invarianza di modelli, per la Lombardia l’abbondono di un sistema centrato solo sull’ospedale è oggettivamente una novità.  Ma qual è il punto? La Lombardia recupera delle idee perse per strada ma non vedo nessun vero pensiero riformatore in grado di inverarle sul serio.

Siccome Gallera parla di ospedali del terzo millennio vorrei capire a questo proposito in che misura:

 · vengono riformati i parametri organizzativi ancora fermi alla riforma ospedaliera del 1968,

 · viene ridefinito il paradigma organizzativo di stampo tayloristico che divide e separa  l’ospedale sia al suo interno  che nei suoi rapporti con il territorio,

 · sono ridefinite le prassi professionali i ruoli e le funzioni in ragione delle visioni interconnessionali che qualsiasi processo di integrazione implica.

Rammento all’assessore che l’ospedale non è nato per integrare ma per separare la cura dal luogo di vita se proprio volessimo integrarlo con il territorio è necessario riformare tanto l’uno che l’altro ma su una idea unitiva di tutela. Quale e Come?

Dalla sua intervista apprendo dell'ospedale unico Busto-Gallarate del nuovo Policlinico di Stefano Boeri, composta da due blocchi di 7 piani, uniti da uno centrale di tre piani sul quale sarà realizzato il più grande giardino terapeutico pensile del mondo. Bene i monoblocchi e naturalmente il giardino, ma dove è la rivoluzione?

Gestionalismo

 Ma a parte i repechage a mio avviso le vere novità sono altre:

 · il passaggio dal governo dell’offerta al governo della domanda,

 · il considerare la cronicità  come la parte più cospicua della domanda di tutela, quindi come il costo che se governato garantisce la gestione finanziaria dell’intero sistema con ciò assumendo tutto il resto come secondario,

 · la divisione della cronicità in distinti livelli di complessità o fragilità con un costo definito a priori e un percorso ad hoc distinto per patologia,

 · il superamento del sistema di remunerazione a prestazione per adottare un sistema di retribuzione basato sul costo complessivo  di tutti i servizi che servono alla presa in carico della cronicità  quindi un costo sul percorso di cura che riguarda  ben 62 patologie croniche,

 · l’introduzione della figura del gestore retribuito per quota capitaria in relazione a classi di cronicità che potrà essere un soggetto pubblico o privato e che dovrà attivarsi per costruire una filiera con più soggetti che devono cooperare per soddisfare i bisogni dei pazienti e che entra così in competizione con gli erogatori dei servizi.

Questo il core della proposta lombarda dal quale comprendiamo subito una cosa: mentre le altre regioni hanno affrontato il problema della sostenibilità del sistema dando luogo al riordino della gestione soprattutto accentrandola in vario modo e riorganizzando la funzione di controllo e di monitoraggio per spendere meno, la Lombardia sempre per spendere meno gioca la carta di una diversa gestione nel senso che cambia la formula canonica andando oltre l’azienda.

Si tratta di una proposta che, giocata interamente sul piano della gestione, ha tutti i caratteri del gestionalismo cioè della soluzione che da sola pretende metafisicamente di risolvere tutti i problemi della sanità quantitativi, qualitativi, etici, clinici, professionali, ecc., come se fosse una bacchetta magica.

Cambiare solo la gestione per affrontare i problemi di sostenibilità di un sistema a dir poco complesso non è una riforma e meno che mai una rivoluzione ma è molto più verosimilmente una controriforma che mette in discussione il classico modello aziendale lo stesso voluto da coloro che adesso alle prese con i suoi fallimenti vogliono superarlo.

La cosa che balza agli occhi quindi è la recidività di una scelta politica storicamente andata a male ma che la Lombardia ripropone tale e quale.

Mi riferisco all’illusione di coloro che nel ‘92 hanno creduto di risolvere tutti problemi di sostenibilità della sanità con una riforma della gestione cioè passando dalla Usl all’azienda imponendo alla sanità un modello di gestione manifatturiero.

Quando si insiste a risolvere i problemi di sostenibilità della sanità con la gestione è perché non si è in grado di avere un pensiero per riformare i principali gangli del sistema vale a dire lavoro, modelli di servizi, organizzazioni, macrostrutture, prassi, produzione di salute primaria, professioni, equilibri tra domanda e offerta, formazione di base, svolte culturali, ecc.

In sintesi a me pare che la Lombardia ci proponga una riforma della riforma della gestione quella dell’azienda del ‘92 con la speranza, a fronte del crescente de-finanziamento del sistema, di risolvere il problema della sostenibilità. Rivoluzione o contro rivoluzione?

Costi standard

 L’analogia è quando si usa qualcosa che si conosce per definire qualcosa che non si conosce. Nel ‘92 per analogia hanno imposto alla sanità l’azienda manifatturiera perché incapaci di dedurre dalla sua complessità una azienda sui generis, oggi nel terzo millennio la Lombardia sempre per analogia ci impone di fatto la standardizzazione dei costi tipica della contabilità analitica industriale.

Ancora un prestito dal mondo manifatturiero. Mai che ci sia qualcuno neanche per sbaglio che ci proponga qualcosa di originale e di specifico a partire dalle complessità sanitarie come queste sono.

Il cuore della proposta viene enfaticamente proposto come un transito: “dal governo dell’offerta al governo della domanda” facendo presagire raffinate e sistematiche politiche di produzione della salute, o comunque come l’assunzione del bisogno di salute quale explanandun dell’offerta di servizi e quindi come politiche volte al riequilibrio tra domanda e offerta, o come responsabilizzazione dei cittadini al dovere della salute.

Ma niente di tutto ciò.  Si parte dalla domanda come base di definizione dei suoi costi cioè come base per standardizzare i bisogni di cura cioè i consumi. Domanda in questo caso vuol dire consumi.

Il cuore della proposta infatti non è tanto il superamento del sistema di remunerazione a prestazione e l’adozione di un sistema di retribuzione basato sul costo complessivo di tutti i servizi che servono alla presa in carico della cronicità, ma è la standardizzazione della domanda quindi dei consumi a priori. Che si paghi per ogni singola prestazione o che si paghi per un insieme di prestazioni definite percorso terapeutico, non è molto diverso se il sistema è rigorosamente predefinito per standard di costo.

L’obiettivo fondamentale di trasformare le tariffe a partire dai Drg in costi standard nel contesto della proposta lombarda è quello di de-finanziare il sistema il più possibile. Altrimenti perché fare i costi standard? La logica di fondo è la generalizzazione di condizioni minime e sufficienti di trattamento per superarne le differenze a volte inspiegabili e gratuite, ma con ciò appiattendo anche le differenze fisiologiche e ineliminabili

L’idea in sostanza è quella del “menù fisso a costo fisso” distinto per fasce di consumi.

Ne risulta che i costi standard relativi a trattamenti standard, con la scusa della presa in carico e del percorso di cura, sono impiegati come strumento di pianificazione al ribasso dei costi dei trattamenti medico-sanitari.

Siccome su questo punto ho riscontrato le interpretazioni più diverse, chiedo, in questa logica, si possono standardizzare i costi senza standardizzare i trattamenti? Il piano assistenziale di cui si parla nella legge e nelle delibere è bello da dirsi e fa bella presenza nella vetrina della proposta, ma è budget dipendente. Il piano assistenziale per la Lombardia è solo quello appropriato al costo standard non è quello adeguato al caso. Esattamente come una linea guida a costo predefinito.

Cioè il governo della domanda (almeno per quello che ho capito io) vuol dire che i costi non sono effettivi cioè calcolati in sede consuntiva ma convenzionali calcolati ex ante e che funzionano come tetti di spesa.

Essi recepiscono non il costo atteso nel futuro per curare la gente, ma la minore spesa attesa indipendentemente dalla cura prodotta preventivata attraverso dei budget

Quindi i problemi più seri di queste proposte sono collegati tutti alla complessità dei malati e ai problemi di scostamento tra lo standard e il principio di realtà. Mi pare di aver capito leggendo le delibere che questo problema si pensa di risolverlo con la riclassificazione dei malati che mostrano delle nuove complessità ad altro livello e ad altra tariffa. Ma questo non risolve i problemi degli scarti legati alla variabilità naturale del processo di cura e questo in sanità è un limite gravissimo.

In ragione degli scostamenti i costi delle cure per ragioni intuibili non potrebbero essere standardizzati più di tanto e comunque dovrebbero prevedere dei margini di interpretazione nella classe assegnata perché soprattutto la variabilità dei malati costituisce un grosso fattore di complessità. Ma se si ammette la variabilità salta la standardizzazione.

Faccio notare che costi standard in sanità decontestualizzano e separano costi bisogni e organizzazioni, per cui a causa di essi salta tutto il discorso della territorialità, dell’umanizzazione, della personalizzazione delle cure, del prendersi cura, delle cure centrate della relazione con il malato ecc.

Cosa faranno i gestori quando gli scostamenti saranno giustificati dalle necessità delle cure? E i medici difronte alle necessità reali del malato si atterranno agli standard loro imposti?

Il gestore

Una volta definiti i costi standard dei percorsi di cura la Lombardia fa un’altra operazione anziché affidare la loro gestione alla azienda introduce una figura nuova il gestore in evidente competizione con l’azienda.

Il gestore nella proposta lombarda è una sorta di intermediario finanziario cioè è come se fosse una mutua chiamata a garantire il costo standard del processo di cura:

 · in primo luogo per tentare di starci finanziariamente dentro (costi quel che costi),

 · in secondo luogo per scaricare su eventuali forme di assistenza integrativa gli scostamenti che ci saranno.

La proposta della Lombardia risulta così essere in realtà un ircocervo:

 · è a tutti gli effetti una mutua finalizzata alla gestione della cronicità,

 · finanziata dallo Stato attraverso dei costi standard,

 · e gestita da un gestore diverso dall’azienda.

Sono anni che la Lombardia batte sul tasto dei costi standard e segnalo un articolo su questo giornale con il quale spiegavo a questo proposito, le mie preoccupazioni usando l’espressione “cura di Stato”.

La Lombardia rispetto alla cronicità propone una sorta di cura di Stato di stampo mutualistico cioè menù fissi a costo fisso differenziati per classi di patologie.

Lo slogan famoso “non si può dare tutto a tutti” in Lombardia diventa “a tutti i cronici posso dare uno standard minimo oltre il quale dovete arrangiarvi”.

Quindi quella della Lombardia è una proposta fortemente collaterale al processo in corso di ridimensionamento della sanità pubblica ad opera della speculazione privata sia sotto forma di welfare aziendale che di mutue integrative come pure di assicurazioni

Conclusioni

La questione è troppo grossa per finirla qui quindi conto di tornarci sopra mi limito solo a pochissime considerazioni finali:

 · è lecito che una regione in funzione della propria autonomia organizzativa stravolga fino a contro-riformare leggi nazionali e quindi gli assetti fondanti della sanità pubblica? Riordinare è un conto ma contro-riformare è un altro conto.

 · È davvero impossibile dedurre dalla sanità le soluzioni ai suoi problemi lasciando perdere le analogie con il mondo manifatturiero e quindi percorrendo altre strade oltre la gestione come quelle ad esempio riassunte nell’ipotesi di una quarta riforma? Cioè altri generi di cambiamenti?

 · Se la proposta della Lombardia come io credo darà meno tutele ai lombardi i lombardi lo sanno? Cioè sono stati informati?

 · Sorgono nuovi problemi di equità rispetto ai trattamenti standardizzati e a quelli non standardizzati per esempio nei confronti dei malati che restano fuori dall’area della cronicità e nei confronti dei malati importati dal sud immagino che in questi casi i trattamenti saranno extra standard.

 · Le ripercussione di una standardizzazione dei trattamenti e la separazione tra gestione e erogazione avrà ripercussioni pesanti sui rapporti tra medici e malati e più in generale sulla credibilità della medicina e dei medici fino a porre inevitabili problemi deontologici.

Cosa pensano di fare gli ordini professionali e i sindacati?

Ivan Cavicchi

Tratto da: Quotidiano Sanità, 21 luglio 2017