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L’autofluorescenza della pelle predice il rischio di diabete di tipo 2 e di mortalità a 4 anni

Uno studio basato sull’autofluorescenza della pelle, rilevata con un lettore di AGE (Advanced Glycation End-product, prodotto finale della glicazione avanzata) e in grado di stimare l’accumulo cutaneo di AGE, che aumenta con l’avanzare dell’età, è risultato in grado di prevedere il rischio di sviluppare diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e di mortalità a 4 anni. Potrebbe diventare un test di screening per la popolazione generale. I risultati su Diabetologia.

Un nuovo test, basato sulla presenza di AGE nella cute, ed effettuato misurando la cosiddetta autofluorescenza cutanea (SAF) consente di prevedere il rischio a 4 anni di diabete di tipo 2, di malattie cardiovascolari e di mortalità nella popolazione generale.

Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista Diabetologia (organo ufficiale dell’EASD, European Association for the Study of Diabetes), effettuato da Robert van Waateringe e colleghi dell’università di Groningen (Olanda) e del Program in Genetics and Genome Biology dell’Hospital for Sick Children di Toronto (Canada).

L’analisi è stata condotta sugli oltre 72 mila partecipanti al Dutch Lifelines Cohort Study, tutti sottoposti al test dell’autofluorescenza cutanea tra il 2007 e il 2013. La diagnosi di diabete di tipo 2 veniva effettuata nel follow up sulla base di una glicemia a digiuno ≥ 7,0 mmol/l o di una emoglobina glicata ≥ 6,5% o per autodichiarazione da parte del partecipante allo studio. Le malattie cardiovascolari di nuova comparsa al follow up (infarto, interventi sulle coronarie, patologie cerebrovascolari, attacchi ischemici transitori, claudicatio intermittens, interventi di chirurgia vascolare) venivano autoriferite dai partecipanti. I decessi venivano desunti dal database del Municipal Personal Records.

Dopo un follow up mediano di 4 anni, l’1,4% dei partecipanti aveva sviluppato diabete di tipo 2, l’1,7% aveva ricevuto una diagnosi di malattia cardio-vascolare, l’1,3% era deceduto.

Lo studio dimostra che un’elevata autofluorescenza della cute all’inizio dello studio si associava ad un elevato rischio di sviluppare diabete di tipo 2 e/o patologie cardiovascolari e di mortalità.

 Questi risultati erano indipendenti dalla presenza di altri importanti fattori di rischio (ad esempio, elevati livelli di glicemia, colesterolo, abitudine tabagica).

Gli autori suggeriscono dunque che la misurazione dell’autofluorescenza cutanea potrebbe diventare un test di screening di popolazione per valutare il rischio di diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e mortalità e aiutare a migliorare le stime di rischio per queste condizioni.

Tratto da: Quotidiano Sanità, Maria Rita Montebelli, 14 febbraio 2019