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Le oscillazioni fanno male: sotto la lente peso, glicemia e pressione

I soggetti con la più ampia variabilità fra i valori hanno registrato una mortalità del 127 per cento più elevata, un rischio di infarto del 43 per cento più alto e un aumento del 41 per cento della probabilità di ictus.

Per essere sani ci vuole equilibrio. Vivere su un’altalena non fa bene: se la glicemia ha grossi sbalzi, la pressione va troppo su e giù o il peso oscilla parecchio, la salute peggiora. Le prove che «la virtù sta nel mezzo» e che non bisogna mai allontanarsi granché da un punto di equilibrio sono tante e l’ultima arriva da una ricerca coreana che, visti i numeri, parrebbe dire la parola definitiva sulla questione: gli scienziati hanno infatti seguito, per oltre cinque anni, poco meno di sette milioni di persone, tutte sane e, in particolare, al momento dell’ingresso nello studio, senza problemi di diabete, malattie cardiovascolari, ipertensione, colesterolo alto.

La ricerca

Analizzando i dati di pressione, colesterolo, glicemia e peso registrati nel tempo, l’endocrinologo dell’università Cattolica di Seoul, Seung-Hwang Lee, coordinatore dell’indagine, ha dimostrato che le fluttuazioni sono molto pericolose: «Rispetto a chi è rimasto stabile, i soggetti con la più ampia variabilità fra i valori hanno registrato una mortalità del 127 per cento più elevata, un rischio di infarto del 43 per cento più alto e un aumento del 41 per cento della probabilità di ictus. Lo studio prevedeva la semplice osservazione di quel che è accaduto negli anni, per cui non possiamo essere certi di una relazione di causa ed effetto fra le oscillazioni dei parametri considerati e le malattie cardiovascolari; tuttavia i dati confermano numerose ricerche precedenti e autorizzano a pensare che cercare di mantenersi in un “intervallo stretto” di peso, pressione, glicemia e colesterolo sia importante per restare in salute».

L’effetto yo yo

Che l’effetto yo-yo del peso sia deleterio è ormai un dato di fatto, come sottolinea Stefano Erzegovesi, psichiatra e nutrizionista, responsabile del Centro per i disturbi Alimentari dell’ospedale San Raffaele di Milano: «Un’oscillazione di peso nel breve periodo, come avviene se un giorno mangiamo troppo e un altro tiriamo la cinghia per compensare, non ha effetti negativi sulla salute; è invece dannosa una fluttuazione su periodi decisamente più lunghi che si ha quando ci si sottopone a diete strette per settimane o mesi e poi, tornando a un’alimentazione normale, in qualche tempo si recuperano i chili persi “con gli interessi”». Questa altalena, oltre a far ingrassare inesorabilmente in otto casi su dieci, accende meccanismi biologici che possono portare dritti a problemi di salute seri.

I segnali di carenza

«Quando seguiamo una dieta ferrea per un periodo abbastanza lungo, al corpo arrivano segnali di carenza di nutrienti che fanno scattare l’allarme — dice Erzegovesi —. Le eventualità più temibili per l’organismo sono l’ipoglicemia, perché la carenza di glucosio (che è la “benzina” delle cellule, ndr) può portare alla morte, e un calo eccessivo della pressione del sangue: così, le reazioni al drastico abbassamento di peso comprendono la riduzione del metabolismo, l’utilizzo del tessuto muscolare che viene “consumato” per avere energia, l’aumento della resistenza all’insulina per impedire ai tessuti di usare il poco glucosio in circolo e un incremento cronico del cortisolo, l’ormone dello stress. Il cortisolo riduce le difese immunitarie, aumenta il rischio di depressione, compromette la funzione mentale e porta alla secrezione di ormoni che fanno salire la pressione, mentre la resistenza all’insulina aumenta l’infiammazione generale dell’organismo e favorisce il diabete».

Il profilo cardiovascolare peggiora

Appena si ricomincia a mangiare normalmente la «bomba» è pronta a scoppiare perché l’organismo, tenuto a lungo a stecchetto, vuole incamerare e mettere da parte tutto il cibo che gli forniamo: il cortisolo alto fa anche aumentare l’insulina e questa porta a immagazzinare l’energia sotto forma di grasso. Così la bilancia torna a salire e, soprattutto, peggiora il profilo cardiovascolare, come fa notare l’esperto: «Il momento pericoloso per cuore e vasi si verifica quando il peso risale perché il grasso in più va ad accumularsi soprattutto intorno all’ addome (il posto peggiore, non tanto dal punto di vista estetico ma fisiologico), dove produce citochine pro-infiammatorie e molecole che contribuiscono ad alzare la pressione».

L’aumento dell’infiammazione generale

Il saliscendi del peso aumenta quindi l’infiammazione generale e favorisce pure le fluttuazioni di glicemia e pressione, che tuttavia sono deleterie anche in chi non ha chili di troppo: studi dell’università Tor Vergata di Roma hanno dimostrato per esempio che quando il glucosio nel sangue oscilla molto, aumenta la probabilità di alterazioni della funzione del ventricolo sinistro del cuore e quindi di scompenso cardiaco (che si ha quando il cuore non riesce più a pompare bene il sangue in circolo). I picchi di glucosio infatti possono provocare un notevole stress ossidativo ai tessuti, danneggiando alla lunga anche gli organi . Qualcosa di simile succede se è la pressione ad andare troppo su e giù: le ricerche hanno dimostrato che chi ha oscillazioni evidenti dei valori e momenti “occasionali” di ipertensione ha un maggior rischio di angina, ictus, infarto e insufficienza cardiaca. Se la pressione poi è molto variabile, sono più frequenti i danni a tutti gli organi «bersaglio» dell’ipertensione (come cuore, cervello, rene e occhio), sia se gli sbalzi si verificano nell’arco delle 24 ore, sia su tempi più lunghi: la probabilità di ictus cresce del 46 per cento, per esempio, se la pressione massima risulta molto variabile nell’arco di sette visite dal medico.

Tratto da: Corriere della Sera Salute, Elena Meli, 23 febbraio 2019