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Stress cronico, obesitā, sindrome metabolica.

Molte delle condizioni in cui ci imbattiamo hanno un effetto di cui non ci accorgiamo sul nostro organismo: producono un’infiammazione. Non quella risposta potente che viene attivata quando ci si confronta con un pericolo come un’infezione o una ferita. Ma una risposta sotto-traccia, di basso grado ma continua. Che la ricerca ha già associato all’insorgenza di diverse malattie.

E che ora un gruppo di ricercatori della Emory University di Atlanta associa ai disturbi mentali. In una originale teoria proposta sulle pagine di Trends in Cognitive Sciences gli scienziati americani sostengono che in presenza di questo stato cronico di infiammazione, il cervello rivede le sue priorità: tutti gli sforzi devono essere indirizzati a rinforzare il sistema immunitario per contrastare quella che ritiene una malattia e non a inseguire obiettivi che non hanno altra utilità se non quella di “rendere felici”.

«Quando il tuo corpo sta combattendo un’infezione o cercando di riparare una ferita, il cervello necessita di un meccanismo che ricalibri le motivazioni disincentivandoti a fare altro in modo che tu non consumi troppa  energia», dice il primo firmatario dello studio Michael Treadway, professore associato alla Emory University. «Adesso abbiamo forti prove che suggeriscono che il sistema immunitario altera il sistema della dopamina per far sì che il cervello operi questa ricalibrazione».

Secondo gli scienziati americani, avremmo ereditato questa strategia dai nostri antenati che l’hanno però adottata in condizioni ambientali assai diverse da quelle attuali. Calata ai giorni nostri, perde di utilità. In un ambiente particolarmente ostile, pieno di minacce di tutti i tipi, dai predatori alle malattie, gli esseri umani dell’antichità avevano trovato il modo di preservare le energie per affrontare le ripetute condizioni di stress acuto. La risposta adattativa, messa in atto allora, prevedeva che cellule infiammatorie, le citochine, intervenissero sul sistema dopaminergico della ricompensa riducendo il rilascio di dopamina e, di conseguenza, abbassando il tono dell’umore. Tutto a vantaggio delle difese immunitarie.

In sostanza, l’organismo, poco motivato a fare altro, conservava le proprie energie per rinforzare il sistema immunitario e affrontare un’infiammazione acuta.

Oggi tutto questo non ha più senso. Le minacce esterne si sono ridotte notevolmente e la maggior parte delle infiammazioni non sono acute, ma croniche di entità moderata, come obesità, sindrome metabolica, invecchiamento. Eppure le citochine continuano ad attaccare il sistema dopaminergico per risparmiare energia, favorendo lo sviluppo della depressione. Nelle condizioni attuali, questa strategia di risparmio energetico è non solo inutile ma controproducente. Dal momento che il calo della motivazione rischia di trasformarsi in un crollo della voglia di vivere.

Per testare la loro originale teoria, i ricercatori hanno messo a punto un modello computazionale per misurare gli effetti dell’infiammazione cronica sulla disponibilità di energia e sull’aspetto motivazionale. Questo complesso sistema di calcolo ha dimostrato che esiste un’associazione tra il sistema immunitario quando è in piena attività, come appunto accade  in seguito a uno stato infiammatorio, una riduzione del livello di dopamina e una scarsa motivazione se non una vera e propria depressione.

«Se la nostra teoria si rivela corretta, allora potrebbe avere enormi conseguenze sui trattamenti per la depressione e altri disturbi del comportamento che possono dipendere da una condizione infiammatoria. Potrebbero esserci nuove opportunità per lo sviluppo di terapie che abbiano come obiettivo l’utilizzo dell’energia da parte delle cellule immunitarie», ha dichiarato Andrew Miller, professore di psichiatria e scienze comportamentali nella Emory's School of Medicine e coautore dello studio.

Attenzione, però, avverte Treadway: «Non stiamo dicendo che l’infiammazione provoca questi disturbi. L’idea è che un gruppo di persone con questi disordini possa avere una particolare sensibilità agli effetti del sistema immunitario e questa sensibilità può contribuire al peggioramento motivazionale di cui soffrono».

Tratto da: Healthdesk, 12 giugno 2019