Diabete, i nuovi sistemi di monitoraggio sono importanti, ma da soli non bastano
Nel corso dell'ultimo National Summit dedicato al diabete, esperti a confronto sulla tecnologia per la gestione della malattia. Il passaggio è fondamentale, ma va inserito in un contesto e accompagnato in un percorso che permetta di aiutare davvero il paziente e il clinico.
È una patologia importante, che interessa molte persone e che soprattutto va seguita e monitorata nel tempo. Si stima che il diabete mellito riguardi circa il 6,5% della popolazione italiana (3,5-4 milioni di persone). Circa il 90% di questi è affetto dal diabete di tipo 2, una malattia che colpisce adulti o anziani, aumenta progressivamente con l’età e nella maggior parte dei casi può essere trattata senza ricorso all’insulina.
Circa 200mila persone sono invece affette da diabete di tipo 1, una malattia autoimmune che distrugge le cellule che producono insulina e quindi porta alla necessità di essere curata con iniezioni di insulina. È una malattia che colpisce i bambini o i giovani adulti che devono imparare a conviverci.
Negli ultimi decenni la tecnologia ha aiutato a gestire meglio questa patologia, migliorando la qualità della vita di chi si trova a doverci fare i conti.
Tuttavia, per quanto riguarda l’accesso ai device di ultima generazione, oggi la situazione italiana non è uniforme e, a livello nazionale, siamo piuttosto indietro rispetto a Paesi come la Germania, la Francia o gli Stati Uniti.
L’ultimo National Summit di Sics, realizzato con il supporto incondizionato di Abbott, ha affrontato proprio il problema di come l’innovazione tecnologica possa migliorare il trattamento del diabete, anche alla luce del fatto che i nuovi dispositivi per il controllo della patologia, tipicamente associati al diabete di tipo 1, sono ancora pochissimo utilizzati per il Tipo 2 insulino-trattato.
I dati in tempo reale
“Al momento non esistono documenti davvero incisivi che agevolino la crescita della gestione in remoto dei pazienti – ha sottolineato Concetta Irace, coordinatore Gruppo Diabete e Tecnologie (Sid, Amd, Siedp) – Ed è necessario riuscire a superare anche quelle resistenze che talvolta esistono nei pazienti, ma anche nei clinici. La pandemia ha dato un grosso impulso alla tecnologia, che è in grado di garantire standard molto elevati. Per accedervi, però, serve davvero un cambiamento culturale».
I nuovi dispositivi permettono al medico di avere a disposizione una grande quantità di dati dinamici e al paziente di avere una proiezione di quello che potrebbe succedere nei successivi 30 minuti. “Le società scientifiche stanno lavorando per favorire l’interazione tra medico, paziente e device”, ha assicurato Irace.
Gian Paolo Fadini, professore associato di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina, Università di Padova ha ricordato come non esista un registro nazionale per i diabetici e che quindi ci si possa basare solo su stime. Il suo gruppo in un recente studio ha seguito con telemonitoraggio i pazienti di tipo 1 che utilizzavano un sensore Flash per il monitoraggio del glucosio. L’osservazione è stata condotta tra marzo e maggio 2020 e gli esperti hanno constatato che “contrariamente alle nostre preoccupazioni relative a quello che sarebbe potuto succedere durante il lockdown, il rallentare stile di vita e rimanere a casa ha portato a dei benefici sul controllo glicemico dei pazienti con diabete di tipo 1 – ha affermato Fadini – Questa nostra prima osservazione è stata poi replicata e confermata da altri studi in Italia e all’estero”. I take home message sono quindi due: “Da una parte, l’importanza di avere uno strumento per monitorare a distanza il paziente e dall’altra l’evidenza che se ne può trarre, cioè verificare quale sia l’impatto delle condizioni di vita del paziente sul controllo glicemico”.
Un secondo lavoro del gruppo di Fadini ha analizzato l’impatto del lockdown sulla cura del diabete di Tipo 2. I risultati hanno mostrato che sono state perse oltre il 50% delle visite rispetto ai due anni precedenti. “A non presentarsi e a sfuggire al telemonitoraggio che il nostro centro ha messo in atto erano soprattutto i diabetici di tipo 2 anziani o fragili – ha spiegato il professore – Questo dato sottolinea l’importanza di rifocalizzare almeno parte della nostra attenzione su questa popolazione che probabilmente ha un’alfabetizzazione digitale più bassa”.
Dotare queste persone di dispositivi flash permetterebbe di poter sopperire a situazioni di criticità come la pandemia in corso, ma anche l’impossibilità del paziente nel recarsi in ospedale.
L’importanza della medicina generale
Claudio Cricelli, presidente Simg (Società italiana medici di medicina generale) ha sottolineato come, prima di parlare di tecnologia, sia necessaria una riflessione sul ruolo della medicina generale, che finora è stata esclusa dalla presa in carico globale del paziente diabetico. “Non esercitiamo alcuna podestà terapeutica e non possiamo prescrivere i farmaci”, ha lamentato Cricelli.
Per il medico “il problema non sono le risorse, che tecnicamente esistono da 15 anni. Serve però un contesto che le renda utilizzabili. In questo senso, penso sia fondamentale il Pnrr: o si cambia il Paese, oppure qualunque discussione rischia di essere futile”.
I mmg dovrebbero essere maggiormente coinvolti anche secondo Rita Lidia Stara, presidente FederDiabete, che durante l’incontro ha portato il punto di vista dei pazienti: “Non tutti hanno la possibilità o la volontà di recarsi nei centri specializzati. È fondamentale garantire la cura di prossimità”. Stara ha poi ricordato che, proprio alla luce di queste considerazioni, “la tecnologia è indispensabile per migliorare la qualità di vita dei diabetici”.
Francesco Menini, presidente SiHta, ha evidenziato tre aspetti necessari affinché le tecnologie impattino davvero in modo positivo: “Riconoscere il vantaggio che la tecnologia offre; mettere a disposizione risorse commisurate al reale fabbisogno e tornare a considerare la variabile tempo come fondamentale. Non basta ragionare sull’anno in corso, serve considerare una temporalità più ampia”. Secondo alcuni studi, “un incremento del telemonitoraggio del Diabete porterebbe a una riduzione di spesa di circa 1 miliardo all’anno per i pazienti diabetici. Questo assicurerebbe una maggiore sostenibilità del Ssn , ma per arrivarci è necessario ottimizzare l’interazione tra mmg e centri antidiabete”.
Le esperienze regionali
Andrea Belardinelli, direttore del settore Sanità digitale e innovazione della Direzione Diritti di cittadinanza e coesione sociale Regione Toscana ha tracciato il percorso seguito nella sua regione sottolineando l’importanza del contesto: “Spesso la tecnologia affascina ma se non viene costruito un percorso a supporto diventa o non sostenibile oppure non dà i risultati attesi” ha chiarito. In Toscana il percorso è partito dal controllo della prescrizione, per capire se davvero quella tecnologia è adatta a quel paziente. A questo si è accompagnata formazione ed educazione sia con i centri diabetologici, sia con la medicina territoriale. “Infine, abbiamo iniziato a ragionare con i fornitori di queste tecnologie in modo più “aperto”, per far rientrare questi percorsi in progetti più ampi e avere a disposizione tutti i dati sul paziente”.
Anche Pietro Buono, Direzione generale Salute Regione Campania, ha riportato l’esperienza della propria regione, sottolineando che “la tecnologia non può riguardare il 20-30% della popolazione diabetica; l’uso della tecnologia diventa davvero efficace quando inizia a superare il 50%.
Non dobbiamo perdere di vista questo, sennò resta un buon principio, ma non ritroviamo un riscontro nella salute pubblica”. La Campania per questo ha contrattato per avere prezzi inferiori, “non per risparmiare, ma per raggiungere il maggior numero possibile di persone”.
In chiusura, Chiara Spinato, segretario generale Intergruppo parlamentare “Obesità e Diabete”, ha affermato di aver raccolto molti spunti utili da portare all’attenzione dei colleghi. “Credo che uno sforzo debba essere fatto nel cambiare approccio e attitudine – ha affermato – Pensare di far rientrare questi device tra i Lea? Non impossibile, seppur futuribile. Bisogna però individuare le prestazioni e serve consapevolezza sul fatto che la sostenibilità economica va valutata con il fattore tempo, come è stato ricordato. Credo che i tempi non saranno brevi, ma si può e si deve instaurare un dialogo da questo punto di vista”.
Tratto da: Quotidiano Sanità, Michela Perrone, 11 maggio 2021