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Psoriasi, gli indizi che aiutano a «giocare d'anticipo»

Uno studio ha messo in luce quali sono gli indizi che possono far prevedere un decorso più grave. Dolore e gonfiore vanno trattati prima che causino danni articolari per poter programmare trattamenti mirati.

Di psoriasi soffrono circa due milioni e mezzo d’italiani. Le lesioni sulla pelle rossastre e ricoperte di squame bianco-argentate, tipiche manifestazioni della patologia, compaiono generalmente tra i 20 e i 40 anni e la domanda comune a tutti i pazienti al momento della diagnosi è la stessa: è possibile farle sparire? La risposta non è semplice, ma uno studio appena pubblicato sulla rivista scientifica JAMA Dermatology aiuta a capire quali caratteristiche possono predire l’andamento della malattia. «È una patologia cronica, dalla quale non si guarisce, ma che ora si controlla – spiega Piergiorgio Malagoli, direttore del Centro Psocare all’IRCCS Istituto Policlinico di San Donato Milanese -. Negli ultimi anni sono infatti arrivati nuovi medicinali che hanno consentito di raggiungere un obiettivo prima impensabile: avere la pelle pulita, libera dalle chiazze e senza il prurito e l’imbarazzo che spesso le accompagnano. Esistono comunque casi, piuttosto rari, in cui tutte le lesioni regrediscono e non ricompaiono più».

Non è solo una malattia della pelle

Sebbene si manifesti con lesioni sulla cute, la psoriasi non è «soltanto» una patologia delle pelle, ma ha un interessamento sistemico: può cioè essere associata a numerose altre patologie (quelle che gli specialisti chiamano comorbidità), come hanno dimostrato diverse ricerche negli ultimi anni. Prima fra tutte l’artrite psoriasica, ma l’elenco è lungo e comprende l’associazione, documentata con crescente precisione, con alcune malattie metaboliche (tra cui diabete, obesità e sindrome metabolica), l’aumentato rischio cardiovascolare, la steatosi epatica non alcolica, le malattie infiammatorie croniche intestinali e l’uveite (una patologia degli occhi). «Quando ricevono la diagnosi per la prima volta i pazienti esprimono spesso al dermatologo legittime preoccupazioni sul futuro che li aspetta e sull’evoluzione che avrà la loro malattia – sottolinea Gabriella Fabbrocini, direttore della Dermatologia Clinica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli e direttore della Scuola di Specializzazione in Dermatologia e Venereologia dell’Università Federico II -. Benché a oggi non esista un esame del sangue o strumentale che consenta di dare una risposta certa, l’interessante studio pubblicato da un gruppo di ricercatori del Karolinska Institutet di Stoccolma ha identificato dei possibili indicatori in grado di predire l’andamento che la psoriasi avrà nel tempo in un determinata tipologia di paziente».

Il nuovo studio

Per la loro indagine, gli scienziati svedesi hanno arruolato tra il 2001 e il 2005 721 pazienti, d’età superiore a 15 anni, con psoriasi di recente insorgenza (da meno di 12 mesi) e li hanno poi seguiti per 10 anni. Dall’analisi è emerso che alcune caratteristiche cliniche come l’interessamento del cuoio capelluto o la presenza di sintomi articolari e l’abitudine al fumo risultano fattori predittivi di un decorso grave della malattia. D’altra parte, i pazienti che avevano iniziato precocemente una terapia sistemica avevano anche un rischio minore di sviluppare forme gravi. «Questi dati sono particolarmente significativi perché dimostrano l’importanza di non trascurare la psoriasi, anche quando i sintomi sono apparentemente limitati in certe zone – chiarisce Fabbrocini -. Alcune specifiche sedi, come ad esempio le unghie e il cuoio capelluto, possono costituire un campanello d’allarme che segnala la presenza di un’infiammazione che va oltre la cute e che tende ad avere un decorso più grave negli anni. Una visita specialistica è importante anche per escludere che siano già state coinvolte le articolazioni: i pazienti tendono spesso a sottovalutare dolore e gonfiore, mentre iniziare precocemente un trattamento è fondamentale per evitare che il danno articolare progredisca fino a provocare disturbi e disabilità irreversibili».

Cosa può aggravare le lesioni

Se è ormai certo che esiste una predisposizione genetica ad ammalarsi, circa il 30 per cento dei pazienti ha infatti almeno un parente di primo grado (genitori, fratelli, figli) con la stessa malattia, è stato pure dimostrato come alcuni fattori scatenanti possano giocare un ruolo cruciale nella prima comparsa delle lesioni o nel loro aggravarsi: «La genetica da sola non è determinante – conclude Malagoli -. Lo stress, i traumi fisici (ferite, contusioni), le infezioni (non solo cutanee), alcuni farmaci (come betabloccanti, interferone, litio, antimalarici e FANS) possono “scatenare” la psoriasi, come il fumo, l’abuso di alcol e l’obesità, che innescano processi infiammatori nocivi per l’organismo. I passi avanti nella comprensione dei meccanismi alla base della malattia ci hanno permesso di fare progressi anche nelle cure e se resta vero che ancora non possiamo parlare di guarigione, abbiamo a disposizione molte terapie diverse che consentono ai pazienti di vivere bene. E’ però fondamentale che i pazienti istaurino un rapporto di fiducia con il dermatologo e aderiscano correttamente alle cure prescritte».

Tratto da: Corriere della Sera Salute, Vera Martinella, 05 febbraio 2022