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Obesità. Non è una ‘colpa’, ma una malattia che va curata

L’Associazione Medici Endocrinologi lancia questo messaggio, in vista della Giornata Mondiale dell’Obesità 2022 che si celebra il prossimo 4 marzo e invita a cambiare l’approccio contro una condizione sempre più diffusa. L’obiettivo è sollevare il paziente con obesità da responsabilità inesistenti.

“L’obesità non è determinata dalla cattiva volontà dei pazienti ma da alterazioni metaboliche geneticamente determinate che comportano riduzione della spesa energetica, aumento dell’appetito e riduzione del senso di sazietà solo parzialmente controllabili dalla volontà”.

È questo il messaggio che l’Associazione Medici Endocrinologi (Ame) lancia in vista della Giornata Mondiale dell’Obesità che si celebra il prossimo 4 marzo, a un anno di distanza da quando la Comunità Europea ha riconosciuto l’obesità come malattia cronica.

“In seguito all’assunzione di un pasto, nel soggetto magro si verifica un aumento degli ormoni della sazietà – spiega Franco Grimaldi presidente di Ame – nell’obeso una riduzione e pertanto non è sorprendente, che il soggetto obeso continui a mangiare. Ciò indica che, così come accade al paziente diabetico, che non diventa diabetico per sua scelta ma per alcune alterazioni metaboliche geneticamente determinate, l’obesità è la conseguenza di una complessa interazione tra un ambiente obesogeno ed una predisposizione genetica. Nessun diabetico sceglie di diventarlo e neanche il paziente con obesità”.

A tutt’oggi, ciononostante, la maggior parte dei pazienti obesi si ritiene responsabile del proprio stato senza aver cognizione che quando mangia non lo fa per sua libera scelta ma sotto l’influenza di ormoni che non ha scelto di avere.  “Anni di accuse, di giudizi e di pregiudizi – aggiunge Marco Chianelli, coordinatore della Commissione Ame Obesità e Metabolismo – hanno convinto il paziente con obesità di essere pigro, reticente e privo di forza di volontà determinando lo stigma dell’obesità questi pazienti hanno una caratteristica non comune alle altre patologie croniche: si sentono in colpa per essere malati e soprattutto si sentono responsabili. Nessun paziente iperteso – continua - si sente in colpa per esserlo. Il paziente obeso sì e ciò contribuisce a generare problematiche psicologiche che impattano notevolmente sulla qualità della vita e non solo”.

Non si tratta di un pregiudizio diffuso solamente nell’opinione pubblica, ma anche nella comunità medica con possibili ricadute nella cura e nell’assistenza dei pazienti obesi. “Purtroppo l’assioma ‘il paziente obeso, è obeso perché mangia’, è ancora adottato da molti medici, anche da alcuni specialisti – denuncia Chianelli – dobbiamo far capire alla comunità medica e ai pazienti che è vero il contrario: il paziente obeso mangia perché è obeso. Solo allora – continua - potremo condurre il paziente con obesità in un percorso difficile ma possibile, che dura tutta la vita, come nel caso del diabete, dell’ipertensione e di molte altre malattie croniche”.

Secondo Ame, si dovrà far comprendere anche un altro importante principio della gestione dell’obesità: il paziente dimagrito non è guarito anzi, dopo il dimagramento indotto dalla dieta le alterazioni metaboliche che determinano l’obesità peggiorano e, in assenza di una terapia cronica, garantiscono un recupero ponderale che viene osservato dalla maggior parte dei pazienti.

“Nuove terapie mediche sono disponibili oggi, ben tollerate, efficaci, di provata sicurezza anche per l’uso cronico – continua Grimaldi – questo è un settore in gran fermento: vengono prodotti farmaci sempre più efficaci che saranno in grado di consentire un dimagramento tale da controllare molte delle complicanze causate dall’obesità. L’obiettivo di Ame è quello di impegnarsi affinché il paziente con obesità possa maturare la consapevolezza della propria condizione, sollevato da responsabilità inesistenti, accompagnato in un percorso impegnativo, fatto di ostacoli ma anche di successi: il traguardo non è mai stato così vicino”.

Tratto da: Quotidiano Sanità, 03 marzo 2022