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Diabetici, pochi pensano ai reni

 

Solo 1 su 5 conosce le conseguenze dell'insufficienza renale cronica, pur sapendo di essere a rischio
MILANO - I reni, questi sconosciuti. Vien voglia di commentare così i risultati di un'indagine europea sulla consapevolezza della malattia renale cronica da parte di pazienti a rischio come i diabetici, presentata a Strasburgo in occasione della Giornata Mondiale del Rene 2010: solo il 22 per cento dei diabetici sa esattamente a che cosa servono i reni, appena il 41 per cento ha parlato della cura dei reni con il proprio medico.
RISCHIO – Un bel problema per una categoria di pazienti che rischia molto la salute dei reni: i diabetici vanno incontro a insufficienza renale in un caso su tre. Secondo l'indagine, condotta su 962 pazienti in Francia, Germania, Regno Unito, Italia e Spagna (i partecipanti italiani erano 203), quattro diabetici su dieci non si sono mai sottoposti consapevolmente a un controllo della funzionalità renale (anche se i test per valutare la capacità di filtrazione renale andrebbero ripetuti non meno di due volte all'anno, nei soggetti a rischio). Così, sebbene due diabetici su tre sappiano di essere in pericolo e la metà sia consapevole che fra le conseguenze dell'insufficienza renale ci sono il trapianto e la temuta dialisi, nella pratica si parla ben poco dei reni e soprattutto si fa ancor meno per tenerli sotto controllo. Un problema che probabilmente deriva dal fatto che i reni smettono di fare il loro lavoro silenziosamente, senza dare alcun indizio della pericolosa china su cui si stanno avviando: i reni malati non danno sintomi, sono organi «muti», così sono molti i pazienti che pur sentendosi in piena forma scoprono all’improvviso, magari in seguito a un check-up o a un controllo svolto per altri motivi, che i loro reni non funzionano bene. Se a questo si aggiunge che pure il diabete è una malattia «muta», di cui spesso non ci si accorge se non quando la situazione è già abbastanza compromessa, si capisce perché le malattie renali sono ormai un'emergenza mondiale: riguardano una persona su dieci, e la tendenza è all'aumento.
CONTROMISURE – Bisogna correre ai ripari: è il parere, unanime, degli esperti riuniti a Strasburgo. «L'Unione Europea – ha detto Frieda Brepoels, membro del Parlamento Europeo – deve continuare a incoraggiare le autorità competenti degli Stati membri a prendere iniziative per contrastare il dilagare delle malattie renali croniche e delle patologie correlate. Le strategie preventive sono l'unico mezzo per ridurre il numero di pazienti in lista d'attesa per un trapianto; aumentare la consapevolezza riguardo alle malattie renali è il primo e più importante passo da fare per impedire che tanti vadano incontro a insufficienza renale». Andrew Rees, presidente dell'European Kidney Health Alliance, ha spiegato: «C'è poca consapevolezza delle malattie renali croniche e delle loro conseguenze, anche fra chi è ad alto rischio: dobbiamo migliorare la diagnosi e soprattutto l'informazione, visto che appena il 12 per cento dei pazienti (in Italia, il 17 per cento) sa che le malattie renali non hanno sintomi evidenti». Non va meglio se si va a indagare quanto ne sanno i diabetici delle funzioni renali: il 72 per cento sa che i reni sono un filtro generico del sangue, ma solo l'11 per cento sa che regolano la pressione e meno del 2 per cento che producono un ormone essenziale per la sintesi dei globuli rossi, l'eritropoietina.
ANEMIA – Appena il 7 per cento dei diabetici, inoltre, è consapevole che le malattie renali portano alla comparsa di anemia, uno dei sintomi più comuni ma anche contro cui, oggi, sappiamo come combattere: è di poco tempo fa la pubblicazione di una revisione sul New England Journal of Medicine secondo cui questa complicazione che accompagna quasi tutti i pazienti con malattie renali deve essere curata senza puntare a una correzione completa dell'anemia attraverso una terapia standardizzata, ma con approcci individuali mirati a un recupero solo parziale dell'emoglobina. «Cercare di correggere completamente l'anemia riportando l'emoglobina a livelli troppo elevati implica maggiori rischi in tutti i gruppi di pazienti: è possibile un peggioramento di patologie tumorali preesistenti e anche la comparsa di eventi cardiovascolari gravi come l'ictus – dice Franco Locatelli, direttore dell'Unità di nefrologia e dialisi dell'Ospedale Manzoni di Lecco –. Oggi abbiamo a disposizione ferro ed epoetine, agenti che stimolano la produzione di globuli rossi: usarli adattando la terapia a ciascun caso è fondamentale per rendere a questi pazienti una buona qualità della vita, senza sintomi come debolezza, vertigini, mal di testa, fiato corto».
Tratto da: Corriere della Sera Salute, Elena Meli, 15 marzo 2010