5permille
5x1000
A te non costa nulla, per noi č importante!
C.F. 98152160176

Sindrome metabolica aumenta il rischio di tumore al fegato

Chi è affetto dalla sindrome metabolica ha un rischio maggiore di incorrere in neoplasie del fegato secondo una nuova ricerca

Chi è affetto dalla sindrome metabolica ha un rischio maggiore di incorrere in neoplasie. Sulla relazione, il XXX Congresso nazionale delle Malattie Digestive che vede la presenza numerosa della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva (SIGE), a dedicato una sessione per illustrare le evidenze finora acquisite, i farmaci in sperimentazione, le tecniche endoscopiche per la riduzione di peso e i numerosi studi sulla dieta mediterranea e il microbioma.

Fra le componenti della sindrome metabolica, in particolare, “l’obesità incrementa la disponibilità dei fattori stimolanti l’insulina che aumentano, a loro volta, l’infiammazione e il rischio di incorrere in neoplasie del tratto gastro-intestinale. Come è stato dimostrato, i pazienti che sommano obesità e insulino-resistenza sono esposti a un rischio elevato di sviluppare un tumore al fegato, ma anche al colon ed altri tratti dell’apparato digerente”, spiega Luca Miele, ricercatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

La perdita di peso per i pazienti con sindrome metabolica si conferma essere la strategia migliore per abbassare il rischio cancro. “I nuovi farmaci per la riduzione del peso potrebbero essere efficaci a medio e lungo termine anche nella prevenzione delle neoplasie epatiche,” spiega il professor Miele. “Inoltre, le tecniche di chirurgia bariatrica hanno già dimostrato di abbassare il rischio di tumore al fegato, confermando così la loro efficacia a lungo termine nel ridurre le probabilità di cancro al fegato”.

I tumori più frequenti dell’apparato digerente, legati alla sindrome metabolica, sono il tumore del fegato, del colon-retto e del pancreas. “Meno frequenti – commenta Filomena Morisco, Professore ordinario di Gastroenterologia presso l’Università di Napoli Federico II – sono quelli dello stomaco e dell’esofago, sebbene ci sia comunque una correlazione. La sindrome metabolica presenta un insieme di varie componenti, come obesità, dislipidemia, diabete e ipertensione arteriosa, ed ognuna di esse ha un peso diverso, in relazione ai diversi tumori. Per esempio, nel caso del tumore del colon-retto, la componente più importante è legata all’obesità, al basso livello di colesterolo HDL  e al diabete. Nel tumore del fegato, gioca un ruolo maggiore il diabete, ma pure l’obesità e la steatosi epatica. È chiaro che i pazienti, vista la correlazione, debbano essere periodicamente controllati. Quello che dovrebbe emergere, specie nell’ambito medicina generale, è che il rischio di cancro del colon-retto e del fegato è alto nei soggetti obesi e diabetici, legata alla presenza di steatosi epatica e steatoepatite, ed è consigliabile, almeno per i soggetti a più alto rischio mantenere un regime di sorveglianza, tramite un’ecografia”.

Lo scorso anno la nomenclatura Metabolic Dysfunction-Associated Steatotic Liver Disease (MASLD) ha sostituito la vecchia Non-alcoholic fatty liver disease (NAFLD), al fine di mettere in risalto la radice metabolica di questa epatopatia. “Con la nuova nomenclatura – spiega Elisabetta Bugianesi, Professore ordinario di Gastroenterologia presso l’Università di Torino – viene descritta la condizione in cui il paziente ha una malattia sistemica, con alterazioni dismetaboliche in vari organi e la possibilità di manifestare outcome diversi, quale il rischio di mortalità cardiovascolare oltre che epatica. La nuova nomenclatura – aggiunge – mette in evidenza la necessità di un approccio multidisciplinare: non si può infatti curare solo il fegato, bensì anche le comorbidità presenti, come diabete e dislipidemia. Il primo step della terapia è quindi controllare i fattori dismetabolici che l’hanno causata”.

“Come epatologi – sottolinea la professoressa Bugianesi – ci stiamo occupando di fermare o rallentare la progressione della fibrosi nella MASLD e in particolare della MASH (Metabolic-dysfunction associated steatohepatitis), che potrebbe condurre a cirrosi e aumentare il rischio di epatocarcinoma. Finora – continua – i trial farmacologici sono stati compiuti su pazienti non cirrotici e, nel momento in cui i farmaci verranno approvati, i pazienti trattabili saranno quelli con MASH, caratterizzata da necrosi epatocitaria accompagnata da fibrosi di grado moderato o severo”.

Dei farmaci più promettenti in sperimentazione, che agiscono sulle cause dismetaboliche, “ci sono GLP-1 receptor agonists, in particolare la semaglutide (in fase III), e dual GLP-1/GIP o GLP-1/GCGR receptor agonist (in fase II)”, ricorda la professoressa dell’Università di Torino. “Sono farmaci molto potenti – osserva – perché non solo riducono il peso e riducono il danno istologico nel fegato, ma hanno anche un’azione cardio-protettiva. Tuttavia non sono stati ancora approvati per la MASH. L’unico farmaco approvato finora dall’FDA è il resmetirom, un agonista del recettore beta degli ormoni tiroidei sul fegato, che ha un’azione molto potente sulla steatosi poiché aumenta l’ossidazione dei grassi a livello dell’organo e migliora l’attività mitocondriale nelle cellule epatiche. Nella fase III, ha mostrato una risoluzione della MASH, ma anche della fibrosi nel 25% dei casi”.

Un’altra classe di farmaci che agiscono sulle cause dismetaboliche è rappresentata dal pioglitazone, consigliato nelle precedenti linee guida per il trattamento della MASH (anche se non approvato per la MASH ma solo per il trattamento del diabete tipo 2). Il pioglitazone elimina il grasso viscerale ed epatico, riportandolo nel tessuto adiposo sottocutaneo. “In questo momento – commenta la professoressa – è in sperimentazione, in fase III, un farmaco della stessa classe (pan-PPAR-agonist), il lanifibranor, che agisce in termini di risoluzione della MASH e di miglioramento della fibrosi”.

Anche le prove scientifiche della attività preventiva dei tumori dell’apparato gastrointestinale da parte della dieta Mediterranea sono molteplici. “La dieta Mediterranea tradizionale è stata descritta per la prima volta in un lavoro scientifico nel 1957”, rammenta Ludovico Abenavoli, professore associato di Gastroenterologia dell’Università “Magna Grecia” di Catanzaro. Da allora, “una serie di studi importanti sono stati sviluppati per dimostrare l’efficacia nella prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili. Oggi sappiamo che la dieta altamente ricca di frutta, verdura e di alimenti funzionali ricchi di antiossidanti esercita un’azione effettivamente preventiva delle patologie croniche, fra cui i tumori dell’apparato digerente. È una dieta vincente per l’azione sinergica di tutti gli alimenti”.

Alcuni cibi hanno dimostrato proprietà eccellenti negli studi. Per esempio, la buccia della mela annurca contiene l’acido clorogenico, efficace nel prevenire i tumori dell’apparato gastrointestinale. Il bergamotto contiene la bergamottina, un potentissimo antiossidante, che riduce lo sviluppo di cloni cellulari tumorali fra cui quello a seno, endometrio e apparato gastrointestinale. L’olio extra vergine d’oliva ha un’alta concentrazione di acidi grassi saturi (omega 3 e 6) che prevengono dal rischio cardiovascolare, ma è ricco anche di antiossidanti che agiscono sull’apparato digerente. Il vino rosso contiene un potente antiossidante, il resveratrolo, ma “l’importante – ricorda il professor Abenavoli – è non superare i due bicchieri al giorno (uno a pasto) e solo se non si hanno patologie”. Infine, una curiosità: lo stoccafisso, quando viene trattato con le acque sorgive delle aree del Sud, ricche di microelementi (magnesio, zinco e potassio), assume delle proprietà nutrizionali importanti.

Riguardo all’azione della dieta Mediterranea sul microbiota, cioè sui miliardi di batteri che popolano l’intestino (in particolare il piccolo intestino) gli studi rilevano che quando è alterato e subentra una disfunzione, chiamata disbiosi, sale il rischio che si sviluppi la poliposi e il tumore del colon, maggiormente in crescita negli ultimi anni. “Per non alterare il microbiota – conclude l’esperto –, occorre seguire una dieta Mediterranea ricca di frutta e verdura con l’integrazione di probiotici, somministrati a cicli e mai in maniera continuativa. I ceppi batterici che hanno maggior validità scientifica sono in particolare i lattobacilli”.

Tratto da: Corriere Nazionale, CORNAZ, 06 giugno 2024