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Dalla Lombardia il modello per curare le malattie del pancreas

Il pancreas è una piccola ghiandola di circa ottanta grammi, ma il cui peso (percepito) risulta di molto superiore quando il suo nome risuona vicino alla parola tumore. Una malattia di cui si sa ancora poco, fino a pochi anni fa considerata rara.

Stiamo però assistendo a un progressivo aumento di incidenza dei casi di carcinoma pancreatico: quarta causa di morte per tumore nei Paesi occidentali ma potenzialmente prossima a diventare la seconda entro il 2030 (alle spalle del tumore del polmone). Nel mondo in poco più di tre decenni si è passati dai 195 mila casi del 1990 ai quasi 500 mila del 2021. Soltanto in Italia, nel 2023 sono state stimate circa 14.800 nuove diagnosi e quasi 15 mila decessi.

Sebbene si conoscano alcune delle cause che hanno determinato tale trend (età avanzata, stile di vita scorretto, alimentazione non equilibrata, fumo, predisposizione genetica), l’assenza di marcatori (predittivi o specifici) e di sintomi facilmente riconoscibili ne ritardano spesso la diagnosi.

Malattie del pancreas: il lavoro in team fa la differenza

Da anni i pancreatologi – i medici specializzati nello studio dell’organo: gastroenterologi, chirurghi, radiologi, oncologi – avevano la percezione che l’approccio multidisciplinare al paziente sarebbe stato il primo passo per affrontare il difficile organo.

Gli studi hanno sostenuto questa intuizione. Prima sono arrivati i dati dei chirurghi: quella pancreatica è una chirurgia molto difficile e i centri dove i volumi sono maggiori (e con questi l’esperienza dell’operatore) mostrano anche i risultati migliori in termini di mortalità postintervento. Nel 2016, in un lavoro pubblicato sulla rivista Hpb, sei colleghi furono i primi a dimostrare che nel nostro Paese sono troppi gli ospedali che eseguono interventi di chirurgia pancreatica. In molti casi con diversi pazienti trattati ogni anno, procedure non risolutive o improprie (accessi a scopo esplorativo diagnostico per eseguire bypass biliari o digestivi) che nei centri ad alta specializzazione vengono eseguite per via endoscopica.

Da questo lavoro è emerso pure come centri con bassi volumi abbiano un tasso di mortalità anche di cinque volte superiore rispetto a quelli con la massima esperienza. Oltre che per la vita dei pazienti, la questione ha un riflesso sui conti pubblici, dal momento che gli interventi inadeguati hanno un costo per la sanità pubblica italiana di circa quattro milioni di euro all’anno.

D’altro canto, un bravo chirurgo da solo può fare poco se non è affiancato da esperti patologi, radiologi ed endoscopisti in grado di effettuare anche le diagnosi più difficili e risolvere i casi di sanguinamento o ostruzione delle vie biliari o del transito intestinale. Anche le altre specializzazioni, tra cui l’oncologia, hanno dimostrato che, dove l’esperienza è maggiore, i risultati per i pazienti (in termini di diagnosi più accurate e interventi palliativi e curativi) sono migliori.

Pancreas unit: l’esperienza della Regione Lombardia

È nato così il concetto che l’organizzazione di una rete di centri di riferimento e la multidisciplinarietà siano alla base di una migliore qualità e appropriatezza nella diagnosi e nella cura delle malattie del pancreas. Lo hanno compreso pure i pazienti, che si sono uniti in associazioni per far sentire la propria voce attraverso campagne di sensibilizzazione, sostenere la ricerca scientifica e bussare alla porta delle istituzioni.

La prima Regione ad attivarsi per stabilire un modello organizzativo e i requisiti per garantire un’alta specializzazione delle cure è stata la Lombardia, che con la delibera 6241 del 4 aprile 2022 ha disposto l’attivazione della rete regionale dei centri di diagnosi e cura dei tumori del pancreas. Con il termine di pancreas unit è intesa la struttura organizzativa multidisciplinare che – grazie a un percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale standardizzato (Pdta) – può offrire un approccio integrato alle neoplasie del pancreas e della regione periampollare al fine di migliorare la qualità dei servizi e i risultati clinici.

Strumento gestionale qualificante di una pancreas unit è l’incontro multidisciplinare a cui sono chiamati gastroenterologi, endoscopisti oncologi, chirurghi, radioterapisti, radiologi, endocrinologi, patologi, infermieri specializzati. Oltre (più in generale) a tutti gli specialisti che possono essere utili nella gestione del singolo caso. Un lungo lavoro portato avanti dalla Regione con gruppi di camici bianchi di alcune strutture ospedaliere lombarde (quelle con maggiore esperienza nel trattamento delle patologie pancreatiche) e con l’associazione Codice viola, per arrivare a stabilire i criteri e gli indicatori di qualità per le pancreas unit e proporre un sistema di gestione sul modello hub e spoke (per mettere in rete competenze che possono essere anche presenti in diverse strutture di un territorio).

Sono stati quindi selezionati i centri adeguati, in modo da garantire il coordinamento tra gli ospedali e l’integrazione dei trattamenti oncologici con le cure simultanee. Fino ad assicurare un dignitoso fine vita, nei casi in cui non ci sia più la possibilità di proseguire i trattamenti oncologici.

Obiettivo delle pancreas unit è anche garantire una corretta gestione della malattia benigna dell’organo: dalla pancreatite (acuta o cronica) alla lesione cistica con un potenziale maligno. Condizione, quest’ultima, in cui il corretto followup e i criteri decisionali per proporre la resezione chirurgica sono fondamentali.

Il lavoro multidisciplinare e in rete è pertanto inteso come il miglior modo per affrontare l’intera patologia pancreatica nella sua complessità, benigna o maligna che sia.

L’integrazione da centri hub & spoke

Il lavoro multidisciplinare e in rete è pertanto inteso come il miglior modo per affrontare l’intera patologia pancreatica nella sua complessità, benigna o maligna che sia.

La delibera della Regione Lombardia definisce la costituzione di un modello che prevede che le procedure più complesse (come la chirurgia pancreatica) vengano concentrate in un numero limitato di centri (hub), dove è raccomandata la presenza di tutte le discipline indicate nel documento, in grado di garantire un’adeguata qualità di assistenza e il migliore utilizzo delle risorse disponibili.

La Regione ha individuato undici centri di riferimento ad alta specializzazione, che si dovranno integrare in maniera multidisciplinare con i centri periferici (spoke) per la gestione sul territorio dei pazienti, in un sistema organizzativo nel quale gli ospedali devono essere collegati funzionalmente tra loro.

In questo modo gli spoke potranno erogare prestazioni diagnostiche e terapeutiche rispettando i requisiti minimi richiesti e, nel caso in cui un paziente seguito in un centro periferico necessiti di una prestazione complessa, la rete dovrà garantire al paziente l’esecuzione di quella procedura in uno degli ospedali dotato di maggiore expertise.

Per la migliore gestione dei pazienti seguiti dai centri spoke, oltre che in un’ottica di loro crescita formativa, è previsto un percorso condiviso con l’hub di riferimento e un continuo scambio di informazioni, anche mediante la partecipazione agli incontri multidisciplinari del centro hub (almeno venti l’anno), con la discussione dei casi seguiti nel centro spoke.

L’incontro multidisciplinare sarà il vero punto di forza nella pianificazione del percorso di diagnosi e cura del paziente e verrà condotto da un case manager che avrà un ruolo cruciale nel coordinamento e nella gestione del team multidisciplinare e sarà una figura a ponte fra il team medico e il paziente.

Come misurare l’esperienza chirurgica?

Il provvedimento definisce in maniera chiara i criteri di selezione dei centri che si occuperanno della diagnosi e trattamento dei tumori del pancreas.

Per la chirurgia, è previsto che possa essere erogata soltanto in un centro hub, tale se nel triennio precedente l’unità operativa di riferimento ha effettuato almeno cinquanta resezioni (di cui almeno trenta duodenocefalopancreasectomie), con un tasso di mortalità operatoria (a tre mesi dall’intervento di resezione per neoplasia pancreatica o periampollare) entro l’otto per cento e la presenza di almeno due chirurghi pancreatici (uno esperto con curriculum certificato di almeno cinquanta resezioni pancreatiche come primo operatore e un secondo chirurgo con almeno venti resezioni pancreatiche effettuate come primo operatore).

Ma dal momento che le figure che ruotano attorno alla complessità del pancreas sono molteplici, anche i gastroenterologi endoscopisti svolgono un ruolo fondamentale nella diagnosi e nella palliazione dell’ittero e dell’ostruzione digestiva.

Anche per loro sono stati fissati indicatori di esperienza, con un training e con indicatori di successo nella diagnosi e nella terapia che soddisfino i criteri già stabiliti dalla Società europea di endoscopia digestiva (Esge).

Gli altri requisiti per l’istituzione di una pancreas unit

Nello specifico, il centro hub per l’endoscopia digestiva deve garantire ogni genere di procedura interventistica – drenaggio di raccolte pancreatiche, drenaggio della via biliare, gastroenteroanastomosi, marcatura con fiduciali, neurolisi del plesso celiaco e terapie – sotto guida ecoendoscopica.

Quanto al servizio di anatomia patologica, è richiesta la presenza di un laboratorio di diagnostica molecolare per la caratterizzazione genotipica nei casi in cui sia richiesta e avvalersi di un patologo di comprovata esperienza che dimostri un continuo scambio di informazioni con i colleghi e che garantisca la refertazione dei campioni pervenuti da biopsie pancreatiche in corso di ecoendoscopia entro cinque giorni dall’acquisizione del prelievo.

La radiologia dovrà dimostrare invece di avere almeno due radiologi interventisti con più di dieci anni di esperienza in esecuzione come primo operatore di angiografie viscerali, embolizzazioni (posizionamento di stent ricoperti), drenaggi biliari, drenaggi di raccolte, biopsie eco (o Tac) guidate. Sia l’endoscopista sia il radiologo interventista dovranno essere disponibili nei centri hub con un servizio continuo di guardia attiva/reperibilità 24 ore su 24 e durante l’intera settimana.

Sul versante terapeutico, l’oncologia medica di un centro hub dovrà garantire un volume di almeno quaranta nuovi casi all’anno gestiti da un’équipe dedicata (quindici casi in uno spoke). Requisiti strutturali e organizzativi saranno no inoltre la disponibilità di posti letto (degenza, day hospital, ambulatorio dedicato per la patologia pancreatica) e la presenza di unità di farmaci antiblastici.

Infine, i centri hub che effettuano radioterapia dovranno garantire un numero di trenta trattamenti l’anno su pazienti con adenocarcinoma del pancreas (più di dieci invece per gli spoke). Sarà inoltre richiesta la presenza di un radioterapista oncologo con esperienza nelle diverse tecniche radioterapiche.

Il team multidisciplinare prevede inoltre figure importantissime nella gestione del malato: quali il gastroenterologo clinico, il nutrizionista, lo psicologo, il genetista e il palliativista. Oltre a infermieri dedicati.

Esportare il modello lombardo su scala nazionale

La volontà di gestire il forte aumento di casi di tumore al pancreas e di garantire equità nelle cure a pazienti di tutte le regioni, spesso costretti ad un eccessivo turismo sanitario per essere curati, ha raggiunto una rilevanza tale che si è reso necessario un approccio su scala nazionale.

Seguendo l’esempio della Regione Lombardia, l’ufficio di Gabinetto del ministero della Salute ha istituito una cabina di regia per lo sviluppo di una rete nazionale di pancreas unit. Gli esperti coinvolti (tra cui diversi rappresentanti delle associazioni di pazienti) avranno il compito di coordinare i percorsi di presa in carico, diagnosi e terapia del tumore del pancreas.

È prevedibile che l’organizzazione tra i centri hub e spoke possa consentire una efficace erogazione delle prestazioni su ospedale-distretto-territorio, ma è ai membri della cabina di regia che spetterà l’impegno di valutare quale possa essere il percorso più facilmente percorribile su scala nazionale e interregionale.

Il modello messo a punto nella più popolosa regione italiana prevede anche la verifica periodica della qualità delle cure erogate dalle pancreas unit, attraverso indicatori specifici di risultato e di processo sulla base delle linee guida esistenti e dell’esperienza clinica. Per mantenere il ricambio di professionisti qualificati servirà inoltre una formazione continua che dovrà essere garantita dalle scuole di specializzazione, dalle istituzioni e dalle società scientifiche: a partire dall’Associazione italiana per lo studio del pancreas (Aisp), che fa della formazione dei giovani una delle sue missioni principali.

L’affascinante, seppur difficile, mondo del pancreas sta avvicinando giovani clinici e ricercatori che stanno sempre più comprendendo quanto l’unione delle forze sia il punto di partenza per comprendere meglio il funzionamento di questa piccola ghiandola e giungere a terapie efficaci.

Il ruolo del case manager regionale

L’aver riconosciuto la complessità del percorso diagnostico e terapeutico del carcinoma pancreatico e il tentativo di portare su scala nazionale la gestione multidisciplinare e l’organizzazione di una rete di centri di riferimento rappresentano un atto lungimirante che mira a obiettivi ambiziosi.

Tra questi, non possiamo non citare la creazione del case manager regionale, ponte fra il paziente e il team di esperti per ottimizzare il percorso organizzativo e clinico.

L’informatizzazione attraverso piattaforme che consentano l’inserimento e l’estrapolazione di dati da parte dei diversi centri sarà un ulteriore passo verso la standardizzazione dei processi e la capacità di analizzare il raggiungimento degli indicatori di qualità da parte dei centri stessi.

Ma considerando il grande avanzamento della tecnologia soprattutto in ambito diagnostico e terapeutico endoscopico e radiologico, un altro sforzo da compiere riguarda la revisione e l’introduzione di nuovi codici per prestazioni che oggigiorno non hanno alcun riconoscimento da parte del Servizio sanitario nazionale.

Le pancreas unit per dare slancio alla ricerca scientifica

Le pancreas unit rappresentano un modo per offrire ai pazienti un percorso diagnostico e terapeutico standardizzato, con tecnologie adeguate e personale esperto.

L’approccio multidisciplinare e la messa in rete in un concetto di hub e spoke dei vari centri potrà garantire un accorciamento dei tempi di diagnosi, un tempestivo trattamento dei sintomi (con procedure endoscopiche adeguate ed efficaci) e un percorso terapeutico (attraverso la discussione multidisciplinare di professionisti esperti) che riduca i rischi chirurgici e il numero di interventi inadeguati.

Frutto della collaborazione fra i centri e del coinvolgimento dei pazienti nei percorsi diagnostico-terapeutici e nelle linee guida sarà anche l’avanzamento della ricerca scientifica (attraverso l’attivazione di studi scientifici multicentrici), che è alla base del progresso in medicina e che porterà a conoscere e ad avere meno paura delle malattie del pancreas.

Silvia Carrara, caposezione dell’ecoendoscopia diagnostica e terapeutica dell’Irccs Istituto clinico Humanitas (Milano) e presidente dell’Associazione italiana per lo studio del pancreas (Aisp).

Tratto da: AboutPharma, 23 settembre “024