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Quanti affari per l’industria del “falso integrale”

Più di tre quarti degli americani sanno che i cereali integrali sono migliori per la loro salute rispetto a quelli raffinati e il 62% afferma di optare di proposito per le versioni integrali di determinati alimenti. Forse non arriveremo a superare il 60% nelle scelte di prodotti non raffinati, ma quel che è certo che anche da noi gli alimenti integrali stanno conquistando una bella fetta di mercato, grazie all’apporto di fibre e oligoelementi benefici nella dieta. Ed, esattamente come accade al di là dell’Oceano anche in Italia è difficilissimo identificare se un prodotto è tutto o principalmente realizzato da cereali integrali. Negli Stati Uniti un nuovo studio condotto da ricercatori della Friedman School of Nutrition Science and Policy della Tufts University di Boston e della New York University ha mostrato come i prodotti che contenevano meno cereali integrali e quelli più raffinati erano etichettati con indicazioni come “fatto con cereali integrali” e “multicereali”, confondendo i consumatori. Non a caso il comportamento di 1000 soggetti intervistati nella ricerca era di optare per cereali, pane e cracker meno sani.

Una confusione che regna incontrastata anche in Italia, complice l’assenza di una legge che definisca davvero cosa si può chiamare integrale.

E così il business del benessere a tavola conquista gli scaffali del supermercato tanto in America del Nord che in Italia. Sarà anche perché, a differenza di altri prodotti miracolosi solo sulla carta, l’integrale è davvero un ottimo aiuto per la salute, essendo ricco di fibre e poco processato. Almeno quando è vero e quando il marketing non gioca con le etichette.

I trucchi per far scomparire la farina raffinata

Fateci caso, in molte confezioni, solamente gli ingredienti integrali vengono indicati con la percentuale sul peso totale come prevede la normativa, mentre alcuni scelgono di non specificare la quantità di farina raffinata. I consumatori più attenti sanno che gli ingredienti vengono indicati in ordine da quello più a quello meno presente, ma chi non ha chiaro il meccanismo, rimarrà col dubbio: omettendo un dato, si mette in risalto solo quello positivo agli occhi di chi compra.

Un altro trucco molto diffuso dalle aziende per presentare i loro prodotti come più integrali di quanto siano veramente è l’utilizzo di aggiunte come la crusca, la cruschella, la fibra alimentare. Sono degli ingredienti, spesso inseriti dall’azienda tra le sostanze integrali, che in molti casi costituiscono scarti della raffinazione della farina. Perché vengono impiegati in fase di lavorazione?

Perché alzano la quantità della fibra nella tabella nutrizionale e danno al prodotto quel tipico colore marrone scuro che il consumatore associa ai prodotti integrali. Ci sono poi altri ingredienti aggiunti che possono lasciar pensare a un aumento della qualità del prodotto, ma che hanno più che altro funzioni tecniche: il glutine di grano e l’estratto di malto, per esempio.

C’è fibra e fibra

“La fibra e la crusca aggiunta non hanno lo stesso valore”. A spiegarci le differenze è Dario Vista, biologo nutrizionista e tecnologo alimentare oltre che collaboratore del Salvagente. “Nella farina integrale la fibra contenuta nel chicco è all’interno di un complesso biologico che richiede all’organismo un tempo più lungo per staccare lo zucchero. A livello dietetico, la fibra è un freno alla salita degli zuccheri nel sangue”.

E questo ha riflessi sul nostro organismo. “La glicemia non è altro che la velocità di salita dello zucchero nel sangue. Quindi se freni questa velocità perché gli enzimi devono perdere tempo a tagliare un legame in più, chiaramente abbiamo un prodotto a basso indice glicemico, quindi dietetico, consigliato per la sindrome metabolica, il diabete” continua.

Non accade così quando consumiamo crusca, “A monte abbiamo una farina ad alto indice glicemico che è separata fisicamente dal resto e aggiungendo la crusca, la cui fibra non ha dei legami forti, il prodotto raffinato non diventa a basso indice glicemico”.

Ma perché non lavorare invece solo con la farina integrale per produrre alimenti sani? “Perché purtroppo la farina integrale non è vocata alla panificazione, a meno che non si stia parlando di un panettiere esperto, ma in generale quando la metti sulla linea industriale, ti devi attenere a quelli che sono i parametri operativi della linea” risponde Vista.

Tratto da: Il Salvagente, Roberto Quintavalle, 25 agosto 2020