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Un interruttore nell’intestino per regolare la glicemia

Ricercatori del NeuroMicrobiota Lab hanno scoperto il ruolo chiave dell’asse intestino-cervello nello sviluppo del diabete. Quando la comunicazione si interrompe, la glicemia sale. La proposta è quella di agire sul microbiota per ripristinare lo scambio di segnali tra primo e secondo cervello.

Il secondo cervello, ossia (se ci fosse bisogno di ricordarlo) l’intestino, gioca un ruolo chiave nello sviluppo del diabete 2. Lo avevano capito subito i due ricercatori, Patrice Cani (UCLouvain in Belgio) e Claude Knauf (INSERM, Francia), che nel 2013 avevano fondato il NeuroMicrobiota Lab, un laboratorio internazionale dove studiare il rapporto tra cervello e intestino. Da allora l’obiettivo delle loro ricerche è stato quello di osservare l’impatto dei segnali cerebrali sulla composizione dei batteri intestinali e viceversa. Frutto di questi studi sono due importanti scoperte annunciate oggi sulla rivista Gut.

I ricercatori hanno individuato un elemento “disturbatore” che interrompe la comunicazione tra cervello e intestino, impedendo una normale regolazione dello zucchero nel sangue e favorendo l’insorgere dell’insulinoresistenza e hanno scoperto l’azione protettiva di un tipo di lipide prodotto dall’organismo, capace di limitare i danni di quella disfunzione.

Dalle prime ricerche avviate al NeuroMicrobiota Lab era immediatamente emerso il ruolo fondamentale dell’asse intestino-cervello nella regolazione dello zucchero nel sangue. Quando mangiamo, l’intestino si contrae come parte del processo digestivo. Gli zuccheri e i grassi vengono introdotti nell’organismo e i loro livelli aumentano nel sangue. L’organismo in parte li smaltisce e in parte li conserva. In una persona con diabete qualcosa va storto e i livelli di zucchero nel sangue aumentano eccessivamente. Gli scienziati hanno osservato che durante la digestione, l’intestino invia un segnale al cervello per “avvisarlo” dei grassi e degli zuccheri in arrivo. Il cervello allora “impone” ai vari organi, fegato, muscoli, tessuto adiposo, di entrare in azione per abbassare i livelli di zucchero e di grassi. In una persona con diabete tutto ciò non accade: l’intestino non manda alcun segnale al cervello e il cervello di conseguenza non inoltra alcun messaggio agli altri organi che lasciano zuccheri e grassi aumentare indisturbati nel sangue. Il risultato è l’iperglicemia e l’insulinoresistenza. In mancanza del segnale che dà il via al processo di regolazione, non si mette in moto nessuna attività di controllo della glicemia e dell’insulina.

Gli scienziati hanno ora scoperto che il mancato collegamento tra primo e secondo cervello dipende da una eccessiva attività contrattile dell’intestino delle persone con diabete. L’intestino troppo impegnato nelle contrazioni “si dimentica” di inviare segnali al cervello.

Nel corso delle loro indagini precedenti, gli scienziati del NeuroMicrobiota Lab avevano individuato un particolare lipide capace di comunicare ai recettori dell’intestino di ridurre l’eccessiva attività contrattile, ripristinando così il controllo della glicemia. Nello studio attuale, i ricercatori hanno scoperto che la produzione dei lipidi “protettivi” viene influenzata dal microbiota. Il che lascia immaginare due possibili applicazioni terapeutiche: si può favorire la produzione dei lipidi agendo sui batteri intestinali oppure si possono somministrare direttamente i lipidi in questione.

Gli scienziati sono convinti che entrambe le soluzioni siano efficaci e sicure e rappresentino una innovativa e valida strategia terapeutica.

Tratto da: Healthdesk, 08 ottobre 2020