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Fibrosi cistica la speranza dal freddo

 

Nuovi studi condotti al Gaslini di Genova con fondi Telethon
Roma - La bassa temperatura per ripristinare la funzione della proteina alterata nei pazienti affetti da fibrosi cistica, una delle malattie genetiche più frequenti e studiate: a descriverlo sulle pagine dell’American Journal of Physiology è Luis Galietta, ricercatore dell’Istituto Gaslini di Genova che grazie anche a fondi Telethon sta studiando da anni come far fronte alle anomalie di CFTR, proteina responsabile dello scambio di cariche elettriche attraverso la membrana delle cellule epiteliali e difettosa in questi malati. La sua alterazione si traduce in un’eccessiva densità delle secrezioni corporee, che vanno così a danneggiare progressivamente organi fondamentali come fegato, pancreas e polmoni. “Sono più di vent’anni che il gene responsabile di questa malattia è stato identificato”, spiega Galietta. “Oggi si conoscono oltre 1.500 diversi ‘errori’ nel Dna che possono provocarla, con meccanismi e gravità diversi. Quello più frequente, presente nei 50-70% dei pazienti, si chiama deltaF508 e provoca un assemblamento scorretto di CFTR, che la rende velocemente eliminabile da parte della cellula. Ci siamo quindi concentrati su questa particolare mutazione, cercando delle sostanze capaci di far ‘sfuggire’ la proteina alterata ai sistemi cellulari di degradazione e di preservarne così, almeno in parte, la funzione. Basterebbe ripristinare anche soltanto il 10-20% della sua attività per migliorare notevolmente la salute di queste persone, un pò come accade quando si cerca di trasformare la distrofia muscolare di Duchenne nella forma meno grave di Becker”. La ricerca di Galietta e del suo team è diventata quindi una vera e propria “caccia” a molecole capaci di produrre questo effetto: con l’aiuto di sistemi automatizzati ne hanno testate 10mila soltanto nel loro laboratorio e circa 250mila in collaborazione con Alan S.Verkman dell’Università della California. “In questo tipo di ricerca è come trovarsi di fronte a una porta chiusa e al doverla aprire con la giusta chiave tra migliaia diverse - ha continuato l’esperto - negli ultimi anni alcune ‘chiavi’ si sono dimostrate interessanti: una, sviluppata dalla compagnia farmaceutica Vertex, è già in fase di sperimentazione clinica per una particolare forma della malattia, altre invece si sono rivelate meno efficaci del previsto. Per capire come mai, siamo tornati alla ricerca di base, l’unica che può illuminarci sui meccanismi molecolari base di
 
un fenomeno biologico”. E la scoperta pubblicata sull’American Journal of Physiology offre in questo senso uno spunto interessante: in laboratorio i ricercatori hanno visto che è sufficiente una bassa temperatura (27 gradi) per ripristinare in modo significativo l’attività di CFTR in cellule prelevate da pazienti con fibrosi cistica che hanno la mutazione deltaF508. In effetti, l’effetto della bassa temperatura sulla proteina mutata era già conosciuto e pubblicato in studi precedenti. Tuttavia, Galietta e il suo team si sono resi conto che la bassa temperatura lascia anche una sorta di “traccia genetica”, in quanto influenza in modo molto preciso l’attività di particolari geni. Studiando meglio questo effetto, i ricercatori contano di poter affinare la propria “caccia al farmaco”. Con la collaborazione di Diego Di Bernardo, ingegnere prestato alla biologia che lavora all’Istituto Telethon di Napoli, mirano a chiarire meglio come faccia la bassa temperatura a ripristinare l’attività di CFTR e a trovare poi un farmaco in grado di fare la stessa cosa. Ma quella alla fibrosi cistica è una lotta su più fronti: nel 2008 Galietta e il suo gruppo hanno descritto su Science una proteina, chiamata TMEM16A, che può fare parzialmente le veci di CFTR; studiandone la struttura e la regolazione i ricercatori si propongono di sviluppare dei farmaci attivatori. “È importante battere tutte le strade possibili”, conclude il ricercatore, “la malattia è così eterogenea, in termini di difetto genetico e di decorso clinico, che è impensabile pensare a un unico approccio terapeutico valido per tutti: meglio avere più carte da giocare”.
Tratto da: AGI, 03 agosto 2011