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Gli italiani, abitudinari a rischio cardiovascolare: ancora scarse la conoscenza, la prevenzione e l’attenzione alla cura del cuore

 

Il 60% degli italiani ha due o più fattori di rischio che minacciano la salute del cuore; circa il 40% è sovrappeso; sono sedentari nel 66% dei casi e oltre il 50% non fa nulla per prevenire le malattie cardiovascolari. Solo il 50% di chi ha già subito un evento si ritiene a rischio e, anche quando si rivolgono al medico, nel 40% dei casi incontrano difficoltà a seguire le sue indicazioni e oltre il 30% si dimentica di assumere farmaci o interrompe la terapia prescritta.
Gli italiani, dunque, sono ancora poco consapevoli del rischio cardiovascolare, pigri e abitudinari nel cambiare lo stile di vita o nell’ascoltare i consigli e le prescrizioni del medico.
Lo rileva una recentissima indagine di GFK Eurisko, realizzata grazie al contributo di AstraZeneca, su un campione rappresentativo della popolazione italiana (800 persone dai 18 anni in su).
I risultati dell’indagine, presentati a Milano nel corso dell’evento “Cuore. L’enigma della prevenzione dimenticata” hanno disegnato l’identikit del rischio cardiovascolare, fotografando la realtà e il comportamento degli italiani a basso, medio e alto rischio.
“Secondo lo schema di riferimento del rischio cardiovascolare globale disegnato per l’Italia dal Progetto Cuore, - spiega il Dott. Ovidio Brignoli, medico di Medicina Generale. – tra i fattori di rischio quali i livelli troppo elevati di colesterolo LDL, la sedentarietà, l’obesità e l’ipertensione arteriosa non vi è un fattore più importante degli altri ma tutti insieme concorrono a determinare l’entità del ‘rischio globale’, ovvero la possibilità che una persona ha di subire, nei successivi dieci anni, eventi cardiovascolari quali infarto del miocardio o ictus cerebrale. È il medico che valuta il profilo di rischio effettivo di ogni soggetto, anche utilizzando parametri meno noti, come i livelli di proteina C reattiva, l’indice ABI caviglia braccio, o prescrivendo un test eco-color doppler delle arterie carotidi”.
“In tutti i soggetti, ma soprattutto nelle persone a rischio intermedio, - ricorda il Dott. Brignoli, - gli interventi sullo stile di vita, sui comportamenti, e le terapie farmacologiche preventive come quelle anti-lipemizzanti assumono un’importanza strategica”. Scorrette abitudini di vita, infatti, possono rappresentare delle minacce per la salute del nostro cuore eppure si fa ancora troppo fatica a cambiare i comportamenti scorretti.
Solo il 40% di coloro che hanno un basso rischio cardiovascolare fa qualcosa per prevenire le malattie cardiovascolari mentre oltre il 60% non segue un’alimentazione controllata, nel 70% dei casi non fa attività fisica (le donne, in particolare, risultano le più sedentarie con il 61%) e solo il 10% dei casi effettua controlli regolari. Se si fa parte di circa il 30-35% degli italiani a medio rischio le cose non migliorano: solo il 34% fa attenzione all’alimentazione evitando alcuni cibi e la percentuale di intervistati che fa prevenzione non supera il 50%.
Il dato allarmante riguarda ciò che hanno dichiarato gli intervistati che hanno già subito un evento cardiovascolare: oltre il 50% dei casi non si sottopone a controlli regolari, l’83% non fa attività fisica e il 70% non fa attenzione all’alimentazione.
“In generale le persone, anche coloro che hanno un profilo di rischio elevato, non hanno la sensazione, la consapevolezza del rischio, - commenta il Dott. Andrea Macchi, Responsabile Unità Funzionale Cardiologia-Emodinamica Ospedale San Raffaele Milano – La ragione risiede forse nel fatto che non sono state adeguatamente informate o non hanno ben compreso il senso dell’informazione che hanno ricevuto dal medico. Anche in chi ha già subito un ricovero per cause cardiovascolari, se nell’immediatezza dell’evento l’attenzione è più alta, questa tende rapidamente a diminuire appena è trascorso un pò di tempo. Del resto, il messaggio che talvolta passa a chi ha già subito un evento è che il problema sia stato ‘risolto’ con le dimissioni”.
“Comunque, non è la paura la ‘leva’ giusta su cui agire nel lungo periodo, - aggiunge il Dott. Macchi - piuttosto l’informazione e la conoscenza. Al medico spetta il compito di far prendere coscienza alle persone della vera dimensione del rischio che corrono, fornendo al singolo paziente che hanno di fronte spiegazioni complete, chiare e razionali”.
Il rischio cardiovascolare è, ancora, quindi, solo parzialmente conosciuto. Infatti, durante l’indagine GFK-Eurisko, non sono stati riconosciuti come fattori di rischio, tra gli altri, il diabete e l’ipertensione (non citati dal 33% e 17% degli italiani); l’ipercolesterolemia (ignorato dal 20%); l’età avanzata e la familiarità (non riconosciuto dal 55% e 38% degli intervistati).
In merito alle proprie condizioni, un dato importante è che il 67% dichiara di fare gli esami del sangue con regolarità (in media hanno fatto l’ultimo esame circa 8 mesi fa) e che gli intervistati conoscono, nel 77% dei casi, i propri valori della pressione. Si tratta, però, di una conoscenza parziale in quanto il 68% non conosce i propri valori di colesterolo e un’altissima percentuale ignora se ha i valori della glicemia o dei trigliceridi elevati (rispettivamente 77 e 91% degli intervistati).
Ma per gli italiani la conoscenza e, soprattutto, la consapevolezza del rischio sono ancora scarse. Non ritiene, infatti, di essere a rischio circa il 60% degli italiani. Eppure, tra questi, oltre il 60% dichiara di avere due fattori di rischio, oltre il 35% tre o più fattori di rischio e il 23% ha già avuto un evento pregresso (solo il 17% degli Italiani adulti si sente a rischio e si tratta soprattutto di persone che hanno già subito un infarto miocardico o un altro evento cardiocircolatorio). Sarebbe, dunque, auspicabile una maggiore informazione ed "educazione", per evitare che le persone sottovalutino un pericolo assolutamente reale per la propria salute.
Il rischio è in agguato anche quando non lo sospettiamo, come dimostrano i dati del recente studio scientifico internazionale JUPITER (Justification for the Use of statins in Primary prevention: an Intervention Trial Evaluating Rosuvastatin), condotto su oltre 17 mila pazienti.
1. Anche se la pressione arteriosa è normale, la glicemia è a posto e perfino il colesterolo non è elevato, si può ugualmente correre il rischio di subire un infarto o un ictus. Anzi, metà degli eventi cardiovascolari si verificano proprio nelle persone con livelli normali di colesterolo cattivo LDL.
2. Persone che gli specialisti definiscono a medio rischio, di una certa età, magari sedentarie, ma che, per il resto, non presentano altro di preoccupante tranne un indice di infiammazione a carico delle arterie (il valore ematico della proteina C reattiva - PCRhs).
3. In generale, però, livelli elevati di colesterolo “cattivo” LDL rappresentano un importante fattore di rischio cardiovascolare. Tra i pazienti intervistati il 17% dichiara di soffrire di ipercolesterolemia. Queste persone sono in maggioranza donne (61%), obesi (65%), il 38% ha oltre 64 anni e il 25% ha tra i 45 e i 54 anni.
“Gli elevati livelli di colesterolo LDL rappresentano un fattore di rischio molto importante - commenta il Dott. Macchi. - Il guaio è che la dislipidemia non fa male, non provoca dolore non viene quindi percepita come una fonte di pericolo. Ancora una volta, quindi, la soluzione risiede nella conoscenza e nell’educazione: occorre sapere che vi sono molti rischi ‘silenziosi’, che non causano dolore, ma che non per questo sono meno importanti dal punto di vista del rischio”.
Tratto da: Salute Europa, 14 dicembre 2009