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Troppi diabetici fuori target

Una serie di studi presentati da ricercatori della Società italiana di diabetologia al Congresso europeo dimostrano che sono ancora molti i pazienti che non raggiungono gli obiettivi di emoglobina glicata e di pressione arteriosa.
Due persone con diabete su tre non riescono a tenere il livelli di emoglobina glicata nei limiti entro cui dovrebbe rimanere e altrettanto succede a un diabetico su tre con la pressione arteriosa.
Non sono buone queste notizie che si ricavano da una serie di studi che ricercatori della Sid, la Società italiana di diabetologia, hanno presentato all'Easd, l'European association for the study of diabetes, in corso in questi giorni a Vienna.
Nella cura del diabete da qualche anno non esiste più un target glicemico a “taglia unica; cioè valido per tutti, cosicché il livello di emoglobina glicata non è più “inferiore al 7% per tutti”, ma in alcune popolazioni (anziani fragili, pazienti con importanti comorbilità, complicanze gravi e lunga durata della malattia diabetica) può essere spostato in alto, arrivando anche a 8,5%. A dimostrarlo sono stati i grandi studi che sono stati condotti negli ultimi anni, le cui indicazioni sono state recepite nelle linee guida internazionali e anche negli Standard italiani per la cura del diabete mellito.
Personalizzare gli obiettivi di glicata, come spiega Enzo Bonora, presidente della Sid, significa che, se nel paziente “standard” si deve puntare a valore inferiore a 6,5, l’asticella della glicata va alzata di 0,5% ogni volta che è presente uno di questi fattori: età superiore a 70 anni, malattia di durata superiore a dieci anni, complicanze gravi e comorbilità. Dunque, se sono presenti tutti e quattro questi elementi si arriva a un target di 8,5%. «Personalizzare gli obiettivi terapeutici, dunque, non significa avere degli obiettivi più lassi in tutti i soggetti – precisa Bonora - ma solo in una parte di essi e averli ancora più ambiziosi che in passato per molti altri. L’analisi dei dati provenienti dallo studio RIACE dimostra invece che la metà dei diabetici italiani non è a target. E addirittura a non centrare gli obiettivi di un buon compenso glicemico sono circa due terzi dei soggetti con breve durata di malattia e senza complicanze; proprio quelli nei quali andrebbero perseguiti obiettivi più stringenti di terapia, portando la glicata al di sotto di 6,5%, per prevenire le complicanze».
Lo studio RIACE (Renal Insufficiency And Cardiovascular Events Italian Multicenter Study), che ha esaminato oltre 15 mila pazienti italiani, ha evidenziato che nonostante l’introduzione di obiettivi meno stringenti per alcune categorie di pazienti, complessivamente non ne risultano ancora a target più della metà e oltre i due terzi di quelli che soddisfano i criteri che richiedono una terapia decisamente intensiva. «Sarà la scarsa aderenza dei pazienti alla terapia o l’inerzia clinica che spesso aleggia negli ambulatori o perché le terapie scelte a volte non sono quelle ideali – sostiene il presidente Sid - ma c’è da lavorarci ancora molto. Intensificando la terapia in maniera importante, ad esempio, in quelli in cui l’obiettivo di glicata può essere portato a meno di 6,5-7%, senza alibi né scuse».
Discorso analogo vale per la pressione arteriosa. Il Joint National Committee 8 ha alzato gli obiettivi pressori da meno di 130/80 mmHg a meno di 140/90mmHg. Ma lo studio RIACE ha dimostrato che, pur essendoci più persone a target rispetto a prima, sono ancora molti che che non li raggiungono: in particolare, il 33,4% per la pressione sistolica (la “massima”).
Perché dobbiamo ridurre la glicata e la pressione arteriosa e dunque preoccuparci del fatto che molti pazienti non sono ancora a target? «Perché non centrare questi obiettivi – risponde Bonora – contribuisce a determinare le complicanze del diabete, in particolare quelle microvascolari, la più temibile delle quali è la nefropatia: una persona su cinque di quelle in dialisi ha il diabete. Sempre nell’ambito dello studio RIACE, uno dei più completi condotti a livello mondiale sulle complicanze del diabete, è stato osservato che un indicatore precocissimo di danno renale come la low microalbuminuria, si correla fortemente all’emoglobina glicata e alla pressione arteriosa».
Più appropriatezza per assicurare le cure migliori. Oltretutto, le complicanze della malattia aggiungono costi (molti) a costi. E per questo diventa importante razionalizzare e ottimizzare le cure, tanto più in tempi di profonda (e lunga) crisi come quella che sta attraversando l'Italia. Gli ingredienti della ricetta della Sid per offrire un’assistenza moderna e di alto livello alle persone con diabete sono innanzitutto individuare e tagliare gli sprechi in sanità. A cominciare, dice la Sid, dagli inibitori di pompa protonica, «al primo posto come voce di spesa complessiva per il Ssn e sicuramente non indispensabili per tutti quelli che li assumono, per finire agli esami di laboratorio, in molte circostanze prescritti con troppa superficialità e con automatismi che andrebbero eliminati». Solo per i dosaggi della vitamina D, esemplifica ancora la Sid, si stima che si spendano in Italia 15-20 milioni di euro l’anno, pari a un terzo del tetto di spesa stabilito dall'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco per i DPP-4 inibitori. Ridurre le prescrizioni improprie di farmaci e di esami di laboratorio e strumentali significa liberare risorse per cogliere le opportunità fornite dall’innovazione e per fornire prestazioni sanitarie al passo coi tempi e complessivamente migliori. L’Italia è in recessione e anche il suo servizio sanitario, sulla carta ancora uno dei migliori del mondo, sta subendo colpi pesantissimi sotto forma di tagli di spesa o mancati investimenti.
Partendo da queste riflessioni, la Sid ha annunciato l'intenzione di redigere un documento per richiamare l’attenzione sugli esami di laboratorio inappropriati e spesso inutili per risparmiare e per liberare risorse per potere accedere in misura maggiore all’innovazione legata ai farmaci o ai dispositivi. E ricorda che un accesso al Centro diabetologico ha un costo reale medio di circa 30 euro (la tariffa è più bassa, meno di 20 euro), una somma che equivale alla spesa per un dosaggio di vitamina D e di PCR. «Con questo non vogliamo certo dire che i controlli di laboratorio siano tutti inutili e da tagliare. Tutt’altro! L’appello – chiarisce Bonora –anche in questo caso è all’appropriatezza. Anche perché, a fronte di sprechi certi e documentabili, ci sono anche molte “inadempienze”. Può essere inappropriato sia il prescrivere che il non prescrivere».
Tratto da: Healthdesk, 18 settembre 2014