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Trapianti: ancora troppo pochi, manca la cultura della donazione

Se chiudessimo oggi le liste d’attesa ci vorrebbero 2-3 anni per trapiantare tutti i pazienti. Colpa della disinformazione e di una legislazione che è arrivato il momento di rivedere. L’appello della Società italiana trapianti d’organo alla vigilia del 40° congresso

Da dieci anni i numeri i numeri diffusi dal Centro nazionale trapianti non crescono, oppure crescono troppo lentamente. Nel 2015 ci sono stati 3326 trapianti, in leggero aumento rispetto all’anno precedente (3.250), ma ancora troppo pochi per salire nella classifica mondiale nella quale siamo posizionati al 19esimo posto lontanissimi dal vertice occupato dalla Spagna che nel 2015 ha effettuato 4.769 trapianti.

Sono numeri che stonano con l’altro piatto della bilancia italiana fatto di professionisti e una rete organizzativa che non ha nulla da invidiare ad altri Paesi. «A remare contro c’è una cultura della donazione praticamente sopita, una forte resistenza nelle donazioni da vivente e un gap nei donatori a cuore fermo che deve essere colmato».

È un ritratto con luci e ombre quello disegnato dalla Società italiana trapianti d’organo (Sito) alla vigilia dell’apertura del 40° Congresso (Roma dal 26 al 28 ottobre).

I numeri

Dei 3.326 trapianti effettuati nel 2015, 1.881 sono di rene (in tutte le combinazioni) dei quali 1.580 da donatore deceduto e 301 da vivente; 1.094 trapianti di fegato (in tutte le combinazioni) dei quali 1.071 da donatore deceduto e 23 da vivente; 246 trapianti di cuore;112 trapianti di polmone (in tutte le combinazioni); 50 trapianti di pancreas (in tutte le combinazioni) e un trapianto d’intestino.

«Sono ancora troppo pochi i trapianti effettuati – spiega Franco Citterio, presidente Sito attualmente in carica fino alla fine dell’anno e presidente della Fondazione italiana per la promozione trapianti d’organo, Fipto – E questo perché manca ancora una vera cultura della donazione nel nostro Paese. E se qualcosa si è fatto in questi anni in termini di donazione da donatore deceduto ancora moltissimo si deve fare per la donazione da vivente che incontra moltissime resistenze. Basti guardare il divario numerico nel 2015 che c’è nel trapianto di rene da donatore vivente tra Italia (301) e quelli (1.075) eseguiti in UK, Paese dello stesso numero di abitanti dell’Italia. Quella delle donazioni è una spina nel fianco nel sistema italiano dei trapianti per questo dobbiamo fare più educazione, più cultura della donazione a 360 gradi, solo così l’Italia potrà crescere. Stare uno o due anni in lista d’attesa è un problema enorme perché il quadro clinico del paziente spesso si aggrava. Dobbiamo fare il possibile perché questo tempo si riduca al minimo. E ancora una volta, inutile dirlo, torna il discorso sulle donazioni: donatori in morte cerebrale, donatori a cuore non battente, donatori viventi».

Liste d’attesa

Se si chiudessero le liste d’attesa per il trapianto, occorrerebbero tra i due e tre anni per trapiantare tutti i pazienti già in lista.

In Italia i pazienti in lista d’attesa al 31 dicembre del 2015 erano 9.070. La maggior parte di questi aspetta di ricevere un trapianto di rene (6.765) e rispetto agli altri organi, al paziente è offerta la possibilità di iscriversi in più liste d’attesa. Mentre sono 1.072 i pazienti iscritti in lista per il fegato, 731 per il cuore e 383 per il polmone. Nel 2015, dati definitivi al 31 dicembre, 3.326 pazienti sono stati trapiantati a fronte dei 9.070 in lista: solo il 37 per cento. Oggi, il tempo d’attesa medio per un trapianto è di 3,1 anni per un rene, 2 anni per un fegato, 2,8 anni per un cuore, 2,3 anni per un polmone e 3,2 anni per un pancreas.

«Si tratta solo della punta di un iceberg - dice Umberto Cillo, presidente eletto Sito in carica da gennaio 2017 - Impossibile non pensare a quanti pazienti a quelle liste neppure arrivano e per i più svariati motivi: perché muoiono prima, perché non ricevono una corretta diagnosi, perché nessuno gli prospetta come via d’uscita quella del trapianto. Si tratta dell’emerso non del reale bisogno. Ognuno di noi può salvare una vita, anzi più vite, scegliendo di diventare donatore. In vent’anni abbiamo fatto passi da gigante in termini di professionalità in sala operatoria e di organizzazione, ma solo piccoli passi nelle coscienze. Per questo la Sito e la Fipto chiedono l’aiuto dei mass media per tornare a parlare di trapianti e donazioni, non solo quando c’è un evento di cronaca».

Donazioni

Sono quasi un milione e novecento mila gli italiani che hanno espresso la volontà ad essere donatori. “Una scelta in Comune” - la nuova modalità di registrazione della dichiarazione di volontà in occasione del rilascio o rinnovo della carta d’identità - ha registrato nel 2015 una vera e propria impennata con 104.571 cittadini che si sono espressi sulla donazione di organi e tessuti all’ufficio anagrafe (contro i 15.137 del 2014). Nel 2015 in Italia si sono contati circa 22,6 donatori per milione di persone, un tasso in calo rispetto al 23,2 dell’anno precedente. Ancora troppo pochi.

«Prendiamo proprio i trapianti da donatore a cuore fermo - spiega Cillo - nel nostro Paese stiamo iniziando adesso. In Olanda e in altre nazioni si fanno da anni. In Italia l’accertamento della morte con criteri cardiaci prevede che, prima di poter dichiarare il decesso e quindi prelevare gli organi, per almeno 20 minuti non ci sia attività cardiaca e circolo. Fino a oggi in Italia si è pensato che quel limite di 20 minuti fissato dal legislatore rappresentasse un punto di non ritorno che rendeva gli organi inutilizzabili. Oggi abbiamo capito che possiamo rigenerare gli organi e possiamo anche gestire diversamente il potenziale donatore grazie alla circolazione extracorporea. Una soluzione messa in atto in sala operatoria nell’attesa – speriamo non infinita – che il legislatore si renda conto che le cose vanno riviste alla luce dell’esperienza internazionale».

Tratto da: Healthdesk, 27 ottobre 2016