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Rapporto Censis-Rbm, boom di spesa privata. Più di 12 milioni di italiani rinunciano alle cure

Sono 12,2 milioni gli italiani che nell’ultimo anno hanno rinunciato o rinviato almeno una prestazione sanitaria per ragioni economiche (1,2 milioni in più rispetto all’anno precedente, pari a un incremento del 10,9%). A chi non ce la fa economicamente, non resta che la rinuncia o il rinvio delle prestazioni. È quanto emerge dal Rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute, presentato oggi al “Welfare Day 2017”. La prima conseguenza di questa realtà è l’aumentare della spesa di tasca propria per la sanità che si attesta a 35,2 miliardi di euro, mentre si espande a macchia d’olio l’area della sanità negata: nell’ultimo anno 12,2 milioni di italiani hanno rinunciato o rinviato prestazioni sanitarie, 1,2 milioni in più rispetto all’anno precedente. Il dover far ricorso alla sanità privata incide notevolmente anche sulle tasche degli italiani, 13 milioni dei quali hanno sperimentato proprio difficoltà economiche legate a spese sanitarie per le quali alcuni hanno fatto ricorso a risparmi o prestiti. «Più di un italiano su quattro non sa come far fronte alle spese necessarie per curarsi e subisce danni economici per pagare di tasca propria le spese sanitarie», ha detto Marco Vecchietti, consigliere delegato di Rbm Assicurazione Salute, durante il Welfare day a Roma. Riflettori puntati, perciò, anche sulla sanità privata che potrebbe rifarsi al sistema francese, come spiegato ancora da Vecchietti. La spesa sanitaria privata, ormai capillarmente diffusa tra gli italiani, pesa di più su chi ha meno, su chi vive in territori più disagiati e su coloro che più hanno bisogno della sanità per curarsi. E più si invecchia, più si deve mettere mano al portafoglio per pagarsi le cure: fatta 100 la spesa sanitaria privata pro-capite degli italiani, per un anziano si arriva a 146. La spesa sanitaria pubblica si riduce e l’area della “sanità negata” si espande. Una riduzione del valore pro-capite dell’1,1% all’anno in termini reali dal 2009 al 2015: è questo il record di contrazione della spesa sanitaria pubblica italiana segnalato dalla Corte dei Conti, mentre nello stesso periodo in Francia è aumentata dello 0,8% all’anno e in Germania del 2% annuo. L’incidenza rispetto al Pil della spesa sanitaria pubblica italiana è pari al 6,8%, in Francia si sale all’8,6% e in Germania si arriva al 9,4%. Meno risorse pubbliche per la sanità rispetto al passato e rispetto agli altri Paesi: è questa la sintesi. Nel rapporto si elencano anche alcuni dati relativi alle attese: per una mammografia si attendono in media 122 giorni, 60 in più rispetto al 2014 e nel Mezzogiorno l’attesa arriva a 142 giorni.

Per una colonscopia l’attesa media è di 93 giorni 6 giorni in più rispetto al 2014, ma al Centro di giorni ce ne vogliono 109. Per una risonanza magnetica si attendono in media 80 giorni, 6 giorni in più rispetto al 2014, ma al Sud sono necessari 111 giorni. Per una visita cardiologica l’attesa media è di 67 giorni, 8 giorni in più rispetto al 2014, ma l’attesa sale a 79 giorni al Centro. Per una visita ginecologica si attendono in media 47 giorni, 8 giorni in più rispetto al 2014, ma ne servono 72 al Centro. Per una visita ortopedica 66 giorni, 18 giorni in più rispetto al 2014, con un picco di 77 giorni al Sud. E le distanze tra le sanità regionali si ampliano. Il 64,5% degli italiani è soddisfatto del Servizio sanitario, mentre il 35,5% è insoddisfatto (meno soddisfatti però al sud che al nord). Come rispondere a questa difficoltà? Con un modello multipilastro che deve valorizzare la coesistenza tra pubblico, privato e sanità integrativa, unica strada per tornare ad ampliare la copertura restituendo sicurezza a tutti i cittadini.

Tratto da: Doctor33, 08 giugno 2017