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Lombardia, Mmg e governo della domanda: cifre confuse

Gli esiti del reclutamento non hanno soddisfatto la Regione

È guerra di cifre sulle candidature dei medici di famiglia lombardi al “Governo della domanda”, il nuovo modello di gestione delle cronicità lanciato dalla Regione nell’ambito della propria riforma sanitaria. Secondo i dati forniti dall’assessorato alla Salute, sarebbero poco meno di 2.400 (il 45% del totale) i mmg che alla scadenza del 31 luglio scorso hanno aderito al progetto in qualità di “gestori”, ossia case-manager del percorso diagnostico-terapeutico del paziente. Per i generalisti dello Snami (il secondo sindacato di categoria per rappresentatività a livello nazionale, il primo in Lombardia) i conti tuttavia non tornerebbero: i medici di base attivi in Lombardia sarebbero poco più di 6.600, quindi le candidature si assesterebbero poco sopra il 35%.

Al di là delle percentuali effettive, è diffuso comunque il sospetto che gli esiti del “reclutamento” tra i mmg non abbiano soddisfatto le aspettative regionali, come parrebbe suggerire la decisione di prorogare al 30 settembre la scadenza per le candidature dei medici. In proporzione, sembrano decisamente migliori i numeri provenienti dalle strutture sanitarie: hanno presentato entro luglio la propria candidatura al ruolo di “gestore” 330 operatori tra ospedali, policlinici, case di cura e di assistenza e simili, 116 dei quali appartenenti al privato (32 soltanto nell’Asl della città metropolitana di Milano). E sono cifre che sollevano subito alcune domande: visto che entro il prossimo 30 novembre gli assistiti lombardi affetti da cronicità (circa 3 milioni) dovranno decidere se entrare nel modello e scegliere il “gestore” cui affidarsi, che accadrà a quei pazienti il cui medico di famiglia non ha aderito al progetto? «Sarebbe bello saperlo» ammette il presidente di Snami Lombardia Roberto Carlo Rossi, da sempre tra i critici del “Governo della domanda” «so per esempio che in un comune dell’hinterland milanese come Cinisello Balsamo, 75mila abitanti in tutto, non c’è un solo medico di famiglia che si sia candidato. I cronici che vorranno aderire, dunque, dovranno scegliere il gestore cui affidarsi tra le strutture ospedaliere, e a quel punto mi chiedo chi sarà il medico che prescriverà loro esami e analisi. Soltanto un gestore, infatti, può autorizzare le prestazioni per un paziente cronico inserito nel programma». Altri interrogativi li solleva Emanuele Vendramini, docente di Management internazionale all’università Cattolica di Piacenza, in un articolo apparso su Sanità24: dal Governo della domanda, scrive, dovrebbe emergere «un sistema di «filiere per portafogli di servizi» in progressiva concorrenza tra loro, allo scopo di farsi scegliere dai singoli pazienti. E «tra un mmg in cooperativa e una potente struttura ospedaliera pubblica o privata», a chi andranno le preferenze degli assistiti? «È una domanda più che legittima» commenta ancora Rossi «si andrà verso un sistema di cure spersonalizzato e burocratizzato, in cui i pazienti cronici riceveranno soltanto le prestazioni previste dal loro Piano di assistenza e nulla di più. Forse ci sarà più appropriatezza, di certo l’anziano che oggi chiede al medico di famiglia di farsi prescrivere una radiografia o un esame del sangue per sentirsi più tranquillo, domani si sentirà rispondere no».

Tratto da: DottNet, 04 settembre 2017