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A Padova si studia il pancreas artificiale italiano

Entro l’estate inizierà uno studio sul pancreas artificiale il cui algoritmo è stato messo a punto dal Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Padova. L’obiettivo è la commercializzazione del dispositivo, frutto di oltre 10 anni di lavoro. I risultati dovrebbero arrivare entro la fine dell’anno.

Come un giocatore di scacchi, il dispositivo valuta tutte le possibili “mosse” e le probabili risposte dell’avversario, poi sceglie quella che giudica migliore e sta a vedere come risponde l’organismo. Il “giocatore” è il pancreas artificiale, l’“avversario” il corpo del paziente diabetico. L’obiettivo è mantenere la persona per il più lungo tempo possibile nel target glicemico considerato ottimale (70-180 mg/dl) senza che questa si debba preoccupare di controllare l’andamento del glucosio.

Il pancreas artificiale è la nuova frontiera per il trattamento del diabete di tipo 1, che in Italia interessa circa 250.000 persone. Un primo modello è già disponibile nel mercato statunitense e la buona notizia è che a breve potrebbe essere commercializzato anche un modello italiano, ideato all’università di Padova e basato su un sistema predittivo, che agisce anche in base all’andamento dei livelli di glucosio nei giorni precedenti, garantendo quindi un elevato livello di personalizzazione.  

“Entro l’estate partirà lo studio iDCL (International Diabetes Closed Loop), che gode del sostegno dell’Nih e che coinvolge tre centri europei: Padova, Montpellier e Amsterdam – annuncia a Quotidiano Sanità Claudio Cobelli, docente di bioingegneria del Dipartimento di Ingegneria e Informazione dell’università di Padova, a margine dell’11° Congresso Advanced Technologies & Treatments for Diabetes (Attd), che si è svolto a Vienna –. Si tratta di uno studio commercial grade: il coordinamento è di Roche e, se andrà a buon fine, il nostro lavoro si tradurrà in un prodotto commerciale”.

Sarebbe il riconoscimento di oltre dieci anni di ricerche coordinate dal polo padovano in collaborazione con altri atenei, dall’università di Pavia a quella della Virginia, negli Stati Uniti.

Che cos’è il pancreas artificiale

Si tratta di un dispositivo dotato di un sensore per il monitoraggio continuo del glucosio e di una pompa per l’insulina che si “parlano” fra loro: grazie a un algoritmo in grado di leggere i dati e intervenire in modo autonomo, senza che il paziente debba costantemente controllare i suoi livelli e prendere decisioni in merito.

“È qualcosa di fantastico perché libera la persona diabetica da qualunque pensiero – afferma Manuela Bertaggia, consigliere nazionale della Fand (l’Associazione Italiana Diabetici) che da 12 anni utilizza un micro-infusore e che ha partecipato ai diversi trial con il pancreas artificiale del gruppo padovano – Questo dispositivo permette al diabetico di rilassarsi e affrontare la propria quotidianità sapendo che il device si sta occupando di tutto”.

Il paziente può sempre correggere manualmente l’infusione, se nota che qualcosa non va. “Deve però farlo in modo consapevole – sottolinea Cobelli, che con il suo team ha lavorato all’algoritmo sperimentato da Bertaggia –, altrimenti è come guidare un’auto in due: uno sposta il volante un po’ più a destra, l’altro più a sinistra e in questo modo si aumenta il rischio di andare fuori strada. Deve essere molto chiaro chi guida e chi siede sul sedile del passeggero”.

Nello studio che partirà in estate e che coinvolgerà 24 pazienti per ciascun centro, la novità sarà l’utilizzo del sensore impiantabile Eversense, che al momento garantisce il monitoraggio sottocutaneo per 90 giorni consecutivi, ma che a breve potrebbe raddoppiare la sua durata. Lo studio durerà sei mesi (3+3): questo significa che entro la fine dell’anno potremmo avere qualche notizia in più sull’eventuale commercializzazione sul pancreas artificiale che parla italiano.

Lo studio riguarderà pazienti adulti, ma il team padovano sta concentrando la sua attenzione anche sulla fascia pediatrica: “Nel 2015 abbiamo realizzato un camp a Bardonecchia con bimbi dai 3 ai 9 anni che hanno potuto sperimentare il pancreas artificiale. Anche in questo caso i risultati sono stati molto buoni”, afferma Cobelli.

Il lungo cammino

Per arrivare a uno studio finalizzato alla commercializzazione, la strada è stata tanta e ha previsto diversi passaggi accademici. Risale al 2007 la prima sperimentazione su alcuni pazienti ricoverati in ospedale. La prima versione del pancreas italiano è stata testata in quattro studi internazionali, ha coinvolto 11 centri di 7 nazioni diverse, per un totale di 147 pazienti studiati al giorno. L’obiettivo era dimostrare la sicurezza e l’efficacia del dispositivo in un contesto protetto come quello ospedaliero. Appurato questo, dal 2012 sono iniziate le prime sperimentazioni in hotel: i pazienti dormivano in albergo, con diabetologi e ingegneri nelle stanze accanto a monitorare il corretto funzionamento del pancreas artificiale, pronti a intervenire se qualcosa fosse andato storto. “Anche questa fase si è conclusa correttamente e siamo passati allo step successivo: affidare il dispositivo ai pazienti, perché lo portassero a casa e lo usassero nella vita di tutti i giorni”, spiega Cobelli. I risultati, presentati l’anno scorso durante l’Attd a Parigi, non hanno lasciato dubbi: il pancreas artificiale guidato dall’algoritmo italiano ha fatto registrare un miglioramento in tutti i principali parametri connessi con il diabete, aumentando l’aderenza alla terapia.

“Questo è solo un primo passaggio – chiarisce Cobelli –, ma le sfide non terminano qui: siamo all’inizio di una nuova tecnologia e in futuro arriveranno senza dubbio algoritmi più raffinati e sensori e pompe ancora migliori”.

Tratto da: Quotidiano Sanità, Michela Perrone, 25 febbraio 2018