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Sindrome metabolica: una nuova cura da un vecchio farmaco

Il riciclo spopola anche nel mondo dei farmaci. Qui si chiama “drug repositioning” (riposizionamento dei farmaci) e consiste nell’individuare nuove applicazioni per medicine già in commercio. Grazie a potenti algoritmi che associano le proprietà molecolari dei farmaci a diverse potenzialità terapeutiche si può incorrere in piacevoli sorprese. E scoprire, per esempio, che un farmaco nato per il trattamento di alcune forme di leucemia può essere efficace nel combattere la sindrome metabolica. È quanto è successo ai ricercatori dell’Università di Trento, che grazie a un complesso lavoro congiunto dei due centri, Cosbi (Fondazione The Microsoft Research-Centre for Computational and Systems Biology) e Cibio (Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrata), sono riusciti a trovare un nuovo e utilissimo impiego alla molecola ibrutinib. I risultati della loro indagine sono stati descritti su Nature Communications.

Innanzitutto, i ricercatori utilizzando un nuovo algoritmo messo a punto al centro Cosbi hanno analizzato le proprietà molecolari di un gran numero di farmaci esistenti in cerca di qualche molecola che potesse servire anche per il trattamento di quella pericolosa combinazione di fattori di rischio cardiovascolare, come obesità, ipertensione, elevati livelli di colesterolo, di trigliceridi e di glicemia, che prende il nome di sindrome metabolica.

«Abbiamo identificato i geni mutati che sono responsabili di queste alterazioni e quindi abbiamo cercato nei database farmaceutici le molecole già approvate che potevano interagire con le reti che questi geni creano nel tessuto adiposo, nel fegato e nei muscoli. Per realizzare uno studio così complesso abbiamo adottato un nuovo approccio computazionale che misura la "distanza" tra le proteine ​​bersaglio del farmaco e quelle trovate nelle reti colpite dalla malattia. È così che abbiamo trovato un nuovo utilizzo per un farmaco già esistente: Ibrutinib, originariamente sviluppato per trattare condizioni completamente diverse, e in particolare tumori a cellule B come linfoma a cellule del mantello, leucemia linfocitica cronica e macroglobulinemia di Waldenström», ha dichiarato Enrico Dominci presidente del centro Cosbi. 

I risultati ottenuti grazie al nuovo sofisticato algoritmo sono stati sottoposti alla convalida dai ricercatori del centro Cibio che hanno testato le nuove potenzialità del vecchio farmaco su larve di zebrafish osservandone gli evidenti benefici.

«Quando abbiamo testato il farmaco in laboratorio abbiamo notato che l’impatto devastante dell’obesità causata da una dieta a elevato contenuto di grassi poteva essere contenuto. Il farmaco era riuscito a limitare l’infiammazione associata all’accumulo di lipidi», ha affermato Maria Caterina Mione, che ha guidato il team di ricerca al Cibio.

Munirsi di nuove armi contro la sindrome metabolica è un’esigenza particolarmente sentita nei Paesi occidentali dove cattive abitudini alimentari associate alla sedentarietà hanno fatto scoppiare un’epidemia difficile da controllare. Si stima che tra le persone over 50, circa il 30 per cento degli uomini e il 35-40 per cento delle donne soffra di sindrome metabolica. Particolarmente a rischio sono le donne dopo la menopausa.

I vantaggi del “riposizionamento dei farmaci” sono facilmente intuibili: un prodotto già sul mercato permette di superare diverse tappe dell’iter di approvazione avendo già dimostrato di essere sicuro e ben tollerato. Non significa però che un farmaco nato per uno scopo possa essere adottato in nuovo contesto da un giorno all’altro. È comunque necessaria una valutazione dell’ente regolatorio per autorizzare l’uso nelle nuove indicazioni.

«I nostri dati sono solo un inizio e sono richiesti studi e test clinici più approfonditi. Ma dimostrano che combinando l’esperienza dell’analisi di biga data e l’abilità di sviluppare modelli per la validazione si può dare impulso alla ricerca per il reimpiego dei farmaci», conclude Mione.

Ibrutinib, che è designato come farmaco orfano, è oggi approvato in Europa per il trattamento della leucemia linfocitica cronica, per il linfoma mantellare e per la macroglobulinemia di Waldenström.

Tratto da: Healthdesk, 28 novembre 2019