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Diabete di tipo 2 e alimentazione: i punti di svolta

L’alimentazione ha un ruolo chiave nella prevenzione e nel trattamento del diabete di tipo 2 e allo stesso tempo è la parte più impegnativa e complessa della gestione quotidiana di questa condizione, a detta delle persone che ci convivono.

Le linee guida alimentari per un’alimentazione sana sono chiare: niente alcol, minore assunzione di cibi contenenti grassi saturi, zuccheri e sale, e maggiore assunzione di cibi contenenti grassi insaturi e fibre (frutta, verdura, legumi). Facile no? Quante volte lo abbiamo sentito ripetere da medici, nutrizionisti dietologi e altri professionisti della salute?

Eppure non è tutto qui, perché l’alimentazione non si risolve all’interno di un puro paradigma biomedico in cui la cura della propria dieta è esclusivamente una responsabilità individuale, basata sulla comprensione dell’equilibrio corretto di macro e micro nutrienti.

Si tratta anche di regolarità nell’alimentazione (ad esempio, consumare un numero fisso di pasti a orari prestabiliti, o routine settimanale), di come vengono prodotti gli alimenti (ad esempio, fatti in casa o biologici) e di benessere psicosociale (godersi i cibi insieme). Anche il concetto di alimentazione sana è soggetto a molteplici interpretazioni personali che riflettono esperienze personali, sociali e culturali, così come gli ambienti (alimentari) locali.

Oltre al contesto sociale, le pratiche alimentari sono anche inserite in un contesto temporale. Le esperienze passate influenzano il modo in cui le persone fanno scelte alimentari nel futuro. Inoltre i significati e gli atteggiamenti nei confronti di un’alimentazione sana possono cambiare nel tempo e sono specifici di alcune fasi della vita. Per esempio, l’essere sposati e avere un figlio piccolo è stato correlato a un maggiore consumo di frutta e verdura.

Nel corso della vita ci sono dei momenti specifici che si caratterizzano come “punti di svolta”, esperienze forti da un punto di vista esistenziale che ci fanno cambiare drasticamente il nostro atteggiamento e contribuiscono a ridefinire la nostra identità.

Sappiamo che questi punti di svolta hanno un ruolo importante anche sul comportamento alimentare nelle persone con DT2, ma è ancora un’area poco esplorata dalla scienza.

La salutogenesi

La medicina, anche se a volte sembra parlare una lingua diversa da quella della vita quotidiana, non è ferma a un modello puramente biomedico: almeno dalla Carta di Ottawa il ruolo dei determinanti socioeconomici sulla salute delle persone è stato ampiamente riconosciuto.

Il sociologo medico Aaron Antonovsky ha coniato il termine salutogenesi per indicare un approccio medico che si concentra sui fattori che sostengono la salute e il benessere dell’uomo, piuttosto che sui fattori che causano la malattia (patogenesi). In particolare, il “modello salutogenico” si occupa del rapporto tra salute, stress e capacità di reazione.

Secondo questo modello la salute è il risultato dell’interazione costante con fattori di stress (biologici, sociali, economici, fisici e mentali) a cui rispondiamo in maniera diversa sulla base della disponibilità di risorse di resistenza generalizzata (Generalised resistance resources -GRRs), come il denaro, il supporto sociale, una sana costituzione, l’autostima e della capacità di identificarle e utilizzarle. 

Il ‘Senso di coerenza’ (SOC) gioca un ruolo fondamentale: il SOC è uno stile di pensiero fondato su tre elementi:

Comprensibilità: gli stimoli esterni sono prevedibili e spiegabili;

Affrontabilità: dentro di me ci sono tutte le risorse per poter rispondere a questi stimoli;

Significatività: ogni stimolo, ogni evento che mi accade è una sfida degna di impegno, quindi portatrice di significato.

In origine, si pensava che il SOC si sviluppasse principalmente durante i primi decenni di vita e rimanesse sostanzialmente stabile per tutta la vita, invece esperimenti più recenti hanno mostrato che esperienze di vita influenti – i famosi punti di svolta di cui parlavamo prima – e anche specifici interventi possono modificarlo.

I punti di svolta nel diabete di tipo 2: come si indagano

Un recente studio olandese si è proposto di indagare questi punti di svolta che, nel corso della vita, determinano cambiamenti nel comportamento alimentare nelle persone con diabete di tipo 2. I ricercatori hanno intervistato 17 persone con una diagnosi da almeno 6 mesi, selezionandole tra quelle con difficoltà socio-economiche che spesso sono tagliate fuori dalle ricerche: il numero di partecipanti è caratteristico della ricerca qualitativa. Non servono campioni numerosi – come accade invece nella ricerca quantitativa che si basa sull’analisi statistica di dati standardizzati in modo da poter formulare teorie generali applicabili a tutta la popolazione con caratteristiche simili – ma informazioni molto ricche e approfondite sull’esperienza di ciascun partecipante, basti pensare che ogni intervista dura più di un’ora.

Le interviste erano basate infatti sul concetto tipico della ricerca narrativa di “life story”, l’ascolto sistematico delle storie di vita delle persone: a ciascun partecipante è stato chiesto di costruire una timeline (dalla nascita al presente) dei momenti significativi e dei punti di svolta che hanno cambiato drasticamente la loro dieta e di preparare una scatola contenete alimenti o oggetti significativi come foto che descrivono le loro pratiche alimentari. Questi elementi sono stati utilizzati come stimolo per la conversazione, per la riflessione e per la ricostruzione biografica.

Le trascrizioni delle interviste sono state analizzate secondo i principi dell’Analisi Fenomenologica Interpretativa (IPA): attraverso questa postura filosofica, i ricercatori cercano di ottenere una “prospettiva dall’interno” del mondo dei partecipanti, mantenendo un atteggiamento di riflessione sull’impatto del proprio mondo interiore nei processi interpretativi e un confronto serrato con gli altri ricercatori.

I punti di svolta nel diabete di tipo 2: i risultati

Lo studio ha mostrato come la relazione con il cibo si sviluppa in tutto l’arco della vita e che il comportamento alimentare è influenzato anche da fattori non strettamente correlati al cibo o alla salute. Esperienze di vita difficile, soprattutto in età infantile, hanno privato i partecipanti di risorse psicosociali importanti sia per la gestione dello stress emotivo sia per una sana alimentazione.

Lo studio ha individuato i momenti in cui le persone sono potenzialmente più aperte al cambiamento positivo del comportamento alimentare, come confrontarsi con un problema di salute, diventare genitore (specialmente quando la propria infanzia è stata difficile) affrontare una terapia piscologica; di contro ci sono anche circostanze che rendono impossibile o molto difficile questo cambiamento: la perdita di una persona cara, depressione, momenti di particolare sofferenza, ecc.

Un aspetto importante emerso è che i punti di svolta non sono definitivi: le persone tornano spesso sui loro passi quando le condizioni di vita cambiano. Ad esempio, Robert, uno dei partecipanti, ha ripreso peso a causa del morbo di Parkinson, che ha complicato il suo stile di vita sano; al contrario un evento con un impatto fortemente negativo come la trascuratezza infantile, può ribaltarsi in fattore positivo quando il bambino trascurato si trasforma in genitore che non vuole che i propri figli siano a loro volta trascurati.

Nelle giuste condizioni, anche l’età avanzata non costituisce un ostacolo al cambiamento.

I punti di svolta negativi nel comportamento alimentare spesso si possono spiegare con una quota di fattori di stress superiore alle proprie risorse: l’alimentazione sana smette di essere una priorità o peggio può diventare anch’essa un fattore ulteriore di stress o, ancora peggio, un’alimentazione malsana può essere utilizzata per alleviare lo stress.

Cosa serve per “svoltare” il comportamento alimentare a lungo termine?

I punti di svolta per un’alimentazione sana funzionano perché mettono in gioco la riflessività e la ridefinizione della propria identità, cambiando le prospettive e ponendo nuovi obiettivi per il futuro. La dieta diventa così una priorità all’interno di un progetto di vita più ampio.

Ma poi, dopo il punto di svolta, riusciamo davvero a mantenere questo impegno? Non sempre, non tutti, perché ci sono altri fattori in gioco.

Quasi tutti i partecipanti della ricerca hanno vissuto un punto di svolta positivo, solo una piccola parte aderisce concretamente alle raccomandazioni nutrizionali e ad uno stile di vita sano.

Che cosa fa la differenza, se le buone intenzioni non bastano? Per esempio le strategie di coping attivo (cioè le strategie mentali e comportamentali che mettiamo in atto per far fronte alle difficoltà in maniera costruttiva) e il supporto sociale. Ma anche l’accettazione della malattia, un approccio flessibile all’alimentazione, la creatività in cucina, l’alfabetizzazione alimentare, l’autocontrollo dei livelli di glucosio nel sangue, e un medico empatico e disponibile.

In conclusione, la ricetta per mantenere un comportamento alimentare sano quando si ha il diabete di tipo 2 è composta da un atteggiamento positivo e riflessivo sulla propria vita, unite a risorse psico-sociali. Il lato positivo è che questi ingredienti possono essere potenziati, con interventi specifici che operino sulle persone, ma anche sul sistema sanitario: come gruppi di supporto, interventi educativi che promuovano l’empowerment e terapie nutrizionali che non si limitino a fornire informazioni, ma che rendano l’alimentazione sana, la preparazione dei pasti e le pratiche alimentari meno stressanti e più godibili.

Bibliografia

Polhuis CMM, Vaandrager L, Soedamah-Muthu SS, Koelen MA. Salutogenic model of health to identify turning points and coping styles for eating practices in type 2 diabetes mellitus. Int J Equity Health. 2020;19(1):80. Published 2020 Jun 1. doi:10.1186/s12939-020-01194-4

Tratto da: diabete.net, Francesca Memini, 07 ottobre 2020