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Malattie cardiache: mangiando sano si potrebbe prevenire il 70 per cento dei decessi precoci

Se si seguissero le regole della sana alimentazione, più verdura e meno grassi, si potrebbero prevenire i due terzi dei decessi per patologie cardiache nel mondo. La dieta scorretta uccide più di ipertensione e fumo.

Più pesce, frutta, verdura, noci e farina integrale. Meno, molto meno, quasi niente, bevande zuccherate, alimenti processati, grassi saturi. Così facendo si eviterebbero nel mondo sei milioni di morti per malattie cardiache, pari ai due terzi del totale.  Sì perché secondo i calcoli di uno studio appena pubblicato sull’European Heart Journal - Quality of Care and Clinical Outcomes la cattiva alimentazione è il principale fattore di rischio nelle morti per cardiopatie ischemiche, patologie caratterizzate da un ridotto apporto di ossigeno al cuore che possono sfociare in un infarto.

Mangiare male uccide più dell’ipertensione, del colesterolo alto e del fumo.

«L’ideale sarebbe consumare ogni giorno dai 200 ai 300 milligrammi di acidi grassi omega 3 provenienti dal pesce. Inoltre, dovremmo assicurarci una dose quotidiana di 200-300 grammi di frutta, 290-430 grammi di verdura, 16-25 grammi di noci e 100-150 grammi di cereali integrali», spiega Xinyao Liu della Central South University, di Changsha, in Cina che ha guidato lo studio.

I ricercatori hanno analizzato i dati contenuti nel Global Burden of Disease Study 2017, il rapporto del Lancet sull’impatto delle malattie nel mondo condotto in 195 Paesi tra il 1990 e il 2017.

Nel 2017, secondo le stime del Lancet, vivevano nel mondo 126,5 milioni di persone con malattie cardiache ischemiche, erano state registrate 10,6 milioni di nuove diagnosi ed erano avvenuti 8,9 milioni di decessi causati da quelle patologie, pari al 16 per cento di tutte le morti (nel 1990 si trattava del 12,6 per cento del totale dei decessi). «Sebbene siano stati compiuti progressi nella prevenzione delle malattie cardiache e nel miglioramento della sopravvivenza, in particolare nei Paesi sviluppati, il numero di persone affette da queste patologie continua ad aumentare a causa della crescita della popolazione e dell’invecchiamento», ha affermato Xinyao Liu.

Con in mano i dati del Global Burden fo Disease Study, gli scienziati hanno calcolato l’impatto di 11 fattori di rischio sulle morti per cardiopatia ischemica: dieta malsana, ipertensione, colesterolo Ldl alto, glicemia alta, fumo, indice di massa corporea elevato, inquinamento atmosferico, scarsa attività fisica, disfunzione renale, esposizione al piombo e consumo di alcol.

Ricorrendo a modelli matematici, i ricercatori hanno poi calcolato quante morti potrebbero essere evitate eliminando ognuno dei differenti fattori di rischio mantenendo invariati gli altri.

Ebbene, una cattiva alimentazione è il fattore di rischio principale.

Seguono ipertensione e colesterolo alto.

Adottando una dieta più sana, senza modificare gli altri fattori di rischio, si riuscirebbe a prevenire il 69,2 per cento delle morti per cardiopatia ischemica nel mondo.

Mantenendo sotto controllo la pressione arteriosa sistolica (entro 110-115mmHg) si riuscirebbe ad evitare il 54,4 per cento dei decessi. Il 42 per cento delle morti per ischemia cardiaca potrebbe essere prevenuto se i livelli di colesterolo restassero tra 0,7 e 1,3 mmol/L.

Al quarto posto nella classifica dei principali fattori di rischio c’è la glicemia elevata (se venisse controllata si eviterebbe il 25,5 per cento dei decessi), al quinto posto per gli uomini (e al settimo per le donne) c’è il fumo, attivo e passivo (eliminandolo si risparmierebbe il 20 per cento dei morti).

L’elevato indice di massa corporea è il quinto fattore di rischio di morte per cardiopatia ischemica nelle donne e il sesto negli uomini. Per le donne, il 18,3 per cento dei decessi per cardiopatia ischemica potrebbe essere prevenuto se l’indice di massa corporea fosse mantenuto tra 20–25.

«La cardiopatia ischemica è ampiamente prevenibile con comportamenti sani basterebbe migliorare le proprie abitudini. Inoltre, sono necessarie strategie su misura in base alle abitudini dei Paesi: ad esempio, i programmi per ridurre l'assunzione di sale possono avere i maggiori benefici nelle regioni in cui il consumo è elevato (ad esempio Cina o Asia centrale)», conclude Liu.

Tratto da: Healthdesk, 21 ottobre 2020