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Chi ha il diabete pensi (anche) al cuore

Cardiologi e diabetologi alleati nella prevenzione perché le due patologie moltiplicano gli effetti negativi. L’importanza dei trattamenti personalizzati in base al rischio specifico della persona.

Gli esperti lo chiamano effetto moltiplicativo. I fattori di rischio cardiovascolare non sommano le loro potenzialità di danneggiare le arterie e quindi mettere a rischio il cuore, ma appunto le moltiplicano. È per questo che occorre unire le forze contro i nemici del cuore. a raccomandarlo sono gli esperti della Società Italiana di Prevenzione Cardiovascolare  (Siprec) riuniti a congresso. "La nuova dimensione della gestione terapeutica delle patologie cardiovascolari nel diabete e in particolare dello scompenso cardiaco, come è stato ripetutamente confermato dai risultati di grandi trial internazionali recenti - spiega Massimo Volpe, presidente della Siprec - apre spazi inesplorati all'alleanza tra cardiologi e diabetologi nella gestione di questa condizione che interessa quasi 4 milioni di italiani. Il cuore delle persone con diabete merita d'altronde un'attenzione particolare perché questa condizione raddoppia il rischio di incorrere in una patologia coronarica, in un ictus ischemico ed espone ad aumentata mortalità per cause cardiovascolari".

Ridurre i rischi

L'obiettivo, quindi, è ridurre i rischi. Ma come si può fare? La risposta sta nella personalizzazione dell'approccio. Secondo Agostino Consoli, Presidente della Società Italiana di Diabetologia occorre "un controllo ottimale del colesterolo, dell'ipertensione, del peso e naturalmente della glicemia, soprattutto attraverso l'uso di farmaci di ultima generazione, come gli SGLT2-inibitori e gli analoghi di GLP-1 che, negli studi clinici, hanno dimostrato una grande efficacia nel ridurre i nuovi casi e i ricoveri per scompenso cardiaco e il rischio di mortalità cardiovascolare. Ed è per questo motivo che le società scientifiche europee di diabetologia (EASD) e di cardiologia (ESC) hanno indicato come primo step di trattamento delle persone con diabete ad alto rischio cardiovascolare la terapia con SGLT2-inibitori o con analoghi del GLP-1. Questi trattamenti sono particolarmente indicati per quel 30% delle persone con diabete che ha già presentato un evento cardio o cerebro-vascolare o è affetto da insufficienza cardiaca; purtroppo però a tutt'oggi meno della metà di questi pazienti è in trattamento con queste terapie anti-diabete innovative, veri e propri salva-cuore".

Sia chiaro: per ottenere questi risultati occorre la massima collaborazione tra specialisti e bisogna che i pazienti in queste condizioni siano gestiti congiuntamente dal cardiologo e dal diabetologo. Lo ricorda anche il documento "Gestione del rischio cardio o cerebrovascolare nel diabete" messo a punto dalla Società Italiana di Diabetologia insieme alla Società Italiana di Cardiologia.

I farmaci

In questo panorama, ovviamente, trovano spazio non solo farmaci innovativi ma anche alcuni caposaldi storici della prevenzione cardiovascolare, come l'acido acetilsalicilico.  "La prescrizione dell'aspirina a basso dosaggio nelle persone con diabete di tipo 2 - segnala Claudio Ferri, Ordinario di Medicina Interna all'Università de L'Aquila e direttore della Uoc di Medicina Interna e Nefrologia, presso  l'Ospedale San Salvatore della città abruzzese - deve essere fatta sempre in prevenzione secondaria, cioè dopo che si sia verificata una malattia cardiovascolare, ma può essere fatta anche in prevenzione primaria, purché il paziente abbia almeno 50 anni e/o il suo diabete abbia una durata di almeno 10 anni o sia associato ad altri fattori di rischio o sia presente un danno d'organo (ad esempio a livello renale o cardiaco)".

Prevenire trombosi, ictus e infarti

L'obiettivo di questo approccio è  la tendenza delle loro piastrine a "legarsi" l'una all'altra (la cosiddetta iperaggregabilità piastrinica), promuovendo così l'insorgere delle trombosi, evento alla base di ictus e infarti.  Attenzione però: anche questo approccio non è per tutti. La somministrazione di aspirina in prevenzione primaria, non viene più supportata dalle linee guida nella popolazione generale e nei soggetti diabetici con meno di 50 anni (o con durata di malattia inferiore a 10 anni) perché nei soggetti a basso rischio la possibilità di un evento indesiderato (ad esempio un sanguinamento gastro-intestinale) supera i benefici (prevenzione degli eventi cardiovascolari).

L'aspirina dopo l'ictus

Diverso il caso della prevenzione secondaria: dopo un ictus o un infarto tutti - a meno di controindicazioni eccezionali - devono assumere l'aspirina (o un altro antiaggregante o l'associazione di due antiaggreganti). "Volendo semplificare - conclude Ferri - in prevenzione primaria l'aspirina può essere consigliata alle persone con diabete e un rischio cardiovascolare almeno "alto". Tuttavia, circa il 90% degli italiani con diabete ha un rischio cardiovascolare "alto" o "molto alto" (contro il 15-20% della popolazione generale, escludendo ovviamente i giovanissimi).

I rischi per chi ha diabete

Il paziente, in particolare, deve sapere che il suo livello di rischio è definito anche dalla durata della malattia diabetica: un paziente con diabete mellito da almeno 10 anni, ad esempio, manifesta per definizione un rischio elevato. Pertanto, la stragrande maggioranza dei pazienti con diabete mellito di tipo 2, con la sola eccezione forse di quelli con meno di 50 anni, ha per definizione un rischio almeno "alto" ed è candidabile alla prescrizione di aspirina in prevenzione primaria. Oltre a questo, al di là della durata della malattia, è sufficiente avere almeno un altro fattore cardiovascolare (come l'ipertensione, presente in otto diabetici su dieci,  il colesterolo alto o l'eccesso ponderale) per approdare alla fascia di rischio "alto".

Tratto da: La Repubblica Salute, Federico Mereta, 30 settembre 2021