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Diabete tipo 2: accettare la malattia e modificare il proprio stile di vita

Che cosa significa vivere con il diabete di tipo 2? Qual è l’impatto della malattia dal punto di vista psicologico e della gestione della sfera privata della persona che ne soffre?

Il diabete è una condizione cronica e progressiva che porta il paziente a dover accettare la presenza di “una malattia, io preferisco definirla una condizione, per sempre”, ovvero che lo accompagnerà per tutta la vita. L’elaborazione e l‘accettazione di questa presenza, per tutta la vita, non è per nulla scontata e questo è vero sia per le persone che sviluppano il diabete in età adulta, quindi che incontrano a un certo punto della loro vita il diabete tipo 2 ma è vero anche, e soprattutto, per i bambini e i giovani che incontrano il diabete tipo 1.

Il percorso di accettazione è un momento di estrema importanza perché se questo ingaggio con il diabete non avviene vi è il rischio di vivere in contrapposizione al diabete stesso e, quindi, fondamentalmente una vita caratterizzata da un profondo disagio e da un atteggiamento di costante rifiuto della “condizione diabete” come, ovviamente, elemento di stigma sociale ma anche dal diabete come ostacolo a una vita pienamente normale.

Il diabete mellito richiede attenzione, cura di sé e della propria malattia con adesione alla terapia e un attento controllo giornaliero dei vari aspetti della vita e della salute. La dieta, l’attività fisica, la terapia, il monitoraggio glicemico, le visite mediche, l’attenzione ad altre malattie e il rischio delle complicanze diabetiche, acute e croniche, rappresentano una routine faticosa e stressante che può condurre spesso a sintomi di depressione, ansia e disturbi del comportamento alimentare.

La depressione, l’ansia e lo stress provocati dal diabete possono raggiungere livelli così elevati da ostacolare il raggiungimento di buoni valori glicemici e di un’autogestione adeguata in diversi momenti della propria vita con il diabete (al momento della diagnosi, a ogni cambiamento di terapia, nel passaggio all’insulina, etc).

Noi diabetologi sappiamo che le complicanze di tipo psicologico ma anche psichiatriche sono frequentemente associate al diabete e siamo pronti a intercettare il paziente che manifesta chiari segni di disagio e a supportarlo al meglio delle nostre capacità professionali anche in questa dimensione. Il medico che si occupa di malattie croniche deve acquisire le cosiddette “counselling skills” ovvero una serie di capacità  necessarie a una relazione di aiuto con il proprio paziente. Ovviamente siamo anche pronti a fare affiancare il paziente dagli psicologi, figure che sempre più stanno popolando i team di diabetologia, com’è giusto che sia.

I casi più eclatanti sono quelli che riscontriamo negli adolescenti e nei giovani, soprattutto, con diabete tipo 1 che di fronte al rifiuto del diabete sviluppano comportamenti molto preoccupanti, arrivando a sospendere in alcuni casi addirittura l’insulina; sono in crescita i casi di diabulimia.

Nella persona adulta, ansia e depressione, mancata aderenza alla terapia, fino addirittura a interromperla, non adesione ai piani di visite e controlli, sono segnali spia che lasciano intravedere una non accettazione o comunque una difficoltà del paziente a interiorizzare quelli che sono i messaggi educazionali che il diabetologo ha dato.

Cambiare il proprio stile di vita per migliorarne qualità e salute

Vivere con il diabete tipo 2 significa accettare la presenza di un fedele “compagno di vita” che deve diventare tale e non un nemico. A questo scopo, molto importante, è la modifica di alcuni comportamenti e cattive abitudini, che sono poi i comportamenti che identificano il nostro stile di vita. In pratica, per molti significa inserire nella propria settimana dei momenti dedicati all’attività fisica, seppur moderata come il cammino, spostarsi in bicicletta o corsi di ginnastica dolce, movimento che può diventare anche un’attività fisica più impegnativa o anche uno sport se le condizioni e lo stato di salute del paziente lo consentono e previo un adeguato allenamento.

Cambiare il proprio stile di vita significa anche essere più consapevoli della propria alimentazione, scegliere alimenti sani e porzioni abituali moderate.  Non dimentichiamo che la persona con diabete di tipo 2 è spesso anche sovrappeso o obesa, può essere ipertesa o avere un profilo di colesterolo e lipidi del sangue alterato, o altre malattie associate, tutte condizioni che predispongono a un maggior rischio di malattie cardiovascolari.

Cambiare il proprio stile di vita, significa anche comprendere la necessità di confrontarsi con noi diabetologi che chiediamo ai nostri pazienti di fare gli esami di laboratorio, di sottoporsi ai controlli, di confrontarsi con noi sull’andamento di quelli che sono gli elementi più rilevanti per il controllo del diabete come il diario della glicemia, il controllo regolare della pressione arteriosa, dei lipidi e il monitoraggio delle complicanze. Tutti questi elementi fanno capire come non sia per nulla semplice e scontato accettare e far propria la convivenza con una condizione cronica come il diabete.

Il Gruppo di Studio AMD di Psicologia e Diabete

L’AMD, l’Associazione Medici Diabetologi che ha da sempre una visione generale dell’assistenza alla persona con una condizione cronica che tiene conto sia degli aspetti biologici sia di quelli psicologici e sociali, ha costituito un gruppo di studio che si occupa di psicologia e diabete che non solo ha la missione di mettere il diabetologo nella condizione di avere le abilità comunicative per fornire un supporto psicologico ed emotivo al paziente cronico, ma anche l’obiettivo di prendersi cura dello stato emozionale e psicologico degli stessi operatori sanitari promuovendo corsi di formazione sulla gestione dello stress e la prevenzione del burnout, quanto mai utili in questo periodo di concomitante emergenza Covid19.

Dott. Paolo Di Bartolo, Direttore Rete Clinica di Diabetologia, AUSL Romagna

Tratto da; diabete.com, 29 dicembre 2021