5permille
5x1000
A te non costa nulla, per noi č importante!
C.F. 98152160176

Malattie cardiovascolari, come scoprire e controllare i fattori di rischio: i test disponibili

La storia familiare può avere molta importanza per indirizzare verifiche e strategie. Vanno comunque controllati pressione, glicemia, colesterolo e funzionalità renale.

Quando le malattie cardiovascolari danno sintomi, è già tardi. Bisognerebbe puntare sulla prevenzione». Parola di Furio Colivicchi, presidente Anmco (Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri): l’obiettivo vero dovrebbe essere riconoscere i problemi quando ancora non hanno dato segno di sé. «Il primo passo è stabilire il proprio livello di rischio cardiovascolare: il momento di una valutazione arriva intorno ai quarant’anni per gli uomini e verso i cinquanta o comunque al momento della menopausa nel caso delle donne», dice Colivicchi. «Per esempio, è importante considerare la storia familiare perché alcuni elementi di rischio presenti nei genitori, come l’ipertensione, quasi certamente prima o poi riguarderanno anche i figli; altrettanto utile sfruttare occasioni come il certificato medico da presentare in palestra per sottoporsi a qualche esame, come l’elettrocardiogramma. Da solo però non basta, una volta l’anno sarebbe opportuno controllare parametri collegati al rischio cardiovascolare come pressione, glicemia, colesterolo, funzionalità renale».

Un metodo semplice per valutare la probabilità di infarto o ictus nei 10 anni successivi è utilizzare la carta del rischio cardiovascolare del Progetto Cuore dell’Istituto Superiore di Sanità e, come spiega Pasquale Perrone Filardi, presidente Sic (Società Italiana di Cardiologia), «Sapere da che livello di pericolo partiamo è indispensabile, anche per questo la Società di Cardiologia lancerà nei prossimi mesi una campagna di sensibilizzazione sull’argomento: chi è a rischio alto o molto alto ha bisogno di essere seguito con particolare attenzione, anche in assenza di sintomi. Per valutare al meglio le proprie condizioni, inoltre, si stanno affacciando altre possibilità diagnostiche più raffinate come la valutazione di ApoA, una lipoproteina che indica un profilo di rischio più elevato ed è abbondante in circa il 20 per cento degli adulti. Anche il Poligenic Risk Score, ovvero l’analisi dei fattori genetici che sappiamo essere correlati ai fattori di rischio cardiovascolari, non è ancora nelle linee guida ma nel prossimo futuro potrebbe integrare e perfezionare la valutazione standard: i test del genoma sono sempre più economici e le conoscenze sul ruolo dei geni stanno aumentando».

Se ne è parlato anche all’ultimo convegno della Fondazione Centro Lotta contro l’Infarto, sottolineando che le informazioni genetiche «Hanno il potenziale per essere un predittore precoce di rischio perché prescindono dall’età, troppo spesso considerata una variabile dal peso eccessivo nei modelli classici», spiega Francesco Prati, presidente della Fondazione. «Fino al 27 per cento dei casi di infarto sfugge alle stime tradizionali perché non presenta i fattori di rischio classici, il patrimonio genetico invece determina un rischio di base su cui agiscono influenze esterne. Per la maggioranza di noi il rischio ereditario dipende dall’impatto cumulativo di molte varianti genetiche comuni: ognuna ha un effetto modesto, ma quando queste varianti si sommano il rischio genetico sale. Il Poligenic Risk Score è un punteggio di rischio poligenico che può stimare l’impatto aggregato di queste varianti multiple e potrà quindi essere d’aiuto».

Tratto da: Corriere della Sera Salute, Elena Meli, 14 marzo 2023