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Approfondimenti sul diabete

Chi ha il diabete cosiddetto ‘di tipo 1’ sa tutto sulle ipoglicemie: ne conosce i sintomi premonitori, sa come farvi fronte, ne capisce le cause e sa correggere gli errori che le hanno favorite.

«Invece non tutti i pazienti di tipo 2 sono adeguatamente informati o tengono in giusta considerazione, il rischio di crisi ipoglicemiche», afferma Mario Maioli, primario del Servizio di Diabetologia dell’Istituto di Clinica Medica dell’Università di Sassari.

«Il primo problema nel paziente anziano, sia esso diabetico di tipo 1 o 2, è che i sintomi dell’ipoglicemia talora non vengono avvertiti perché si presentano in maniera attenuata a causa della neuropatia autonomica o per l’assunzione di farmaci particolari come i beta-bloccanti, oppure non vengono diagnosticati correttamente sia perché vengono attribuiti ad altre patologie concomitanti sia perché possono comparire con valori glicemici compresi nel range di normalità soprattutto quando il paziente non è ben compensato», spiega Maioli che dirige anche la Scuola di Specializzazione in Scienza dell’Alimentazione e il Centro per le Malattie Dismetaboliche e dell’Arteriosclerosi dell’Università di Sassari. 

 

  • Diventa quindi più difficile accorgersi di una crisi ipoglicemica imminente?
  • Sì, è anche di una ipoglicemia pregressa. Se il paziente si sveglia con il mal di testa si pensa ai reumatismi, se ha qualche amnesia o confusione la si attribuisce ‘all’arteriosclerosi’. Il paziente in terapia con ipoglicemizzanti orali – soprattutto quelli che stimolano la secrezione della beta-cellula – deve controllare la glicemia ogni volta che nota qualcosa di strano: e non solo i sintomi classici quali fame, tremore, aggressività e vista annebbiata, ma anche debolezza, cardiopalmo, senso di mancamento e momenti di assenza.
     
  • Ma le ipoglicemie del diabete di tipo 2 sono meno gravi, vero?
  • Questa è una opinione diffusa anche presso i medici. Purtroppo non sempre le cose stanno così. Normalmente le ipoglicemie del paziente con diabete di tipo 2 sono meno eclatanti rispetto a quelle del paziente con diabete di tipo 1 perché i primi sintomi possono comparire a valori glicemici più elevati e la risposta degli ormoni iperglicemizzanti, essendo più pronunciata, impedisce un ulteriore calo della glicemia. Peraltro la risposta molto vivace delle catecolamine può determinare una maggiore compromissione del sistema cardiovascolare. Nell’anziano, quasi sempre con seri problemi cardiovascolari, la risposta all’ipoglicemia può aprire la strada a un infarto o a un ictus o a una aritmia.
     
  • Insomma le ipoglicemie nel paziente diabetico di tipo 2 anziano, seppure più rare, non devono essere sottovalutate
  • No, bisogna stare attenti. E questo vale per i medici che devono prescrivere con molta attenzione i farmaci secretagoghi (privilegiando quelli a breve durata d’azione) e l’insulina, così come per i pazienti e le persone che stanno loro vicino.
     
  • Occorre assumere carboidrati semplici, cioè zucchero, ma anche complessi, pane o biscotti, vero?
  • Certo. Senza però esagerare e provocare un dannoso ‘rimbalzo’ verso stati iperglicemici. Ricordo di pazienti, trattati con un farmaco ipoglicemizzante – fortunatamente oggi non utilizzato – con una durata di azione di oltre 30 ore, che restarono da noi in corsia due giorni prima di recuperare l’equilibrio glicemico. Ma vorrei ricordare una cosa importante. Mai usare il glucagone per trattare una ipoglicemia anche grave in un paziente di tipo 2.
     
  • Perché?
  • Perché il glucagone non stimola solo la produzione di glucosio da parte del fegato e dei muscoli, ma è anche un ‘colpo di frusta’ alla beta-cellula. Nel paziente con diabete di tipo 1 questo è ininfluente perché le cellule beta non producono insulina, ma se il paziente ha una residua funzione betacellulare, come si verifica nel diabete di tipo 2, finisce per aumentare la sua insulinemia. Piuttosto il paziente deve essere trattato con una infusione endovenosa continua di glucosio fino alla risoluzione dell’ipoglicemia.
     
  • Torniamo alla prevenzione. Cosa può fare il paziente?
  • Prima di tutto misurare frequentemente la glicemia. Spesso i pazienti con diabete mellito di tipo 2 la misurano solo al mattino prima di colazione. Ma al risveglio difficilmente riscontreranno una ipoglicemia. Sono più probabili nel tardo pomeriggio o nella prima parte della notte, soprattutto se durante la giornata hanno praticato attività fisica. In secondo luogo devono adeguare l’introito di carboidrati alla terapia, come fa una persona che pratica terapia insulinica. Grande attenzione deve essere posta al tipo di alimentazione anche dalle persone che assistono il paziente anziano: parenti e personale delle case di cura. La stessa dose di ipoglicemizzante orale prima di pranzo può andare bene se il pranzo prevede un piatto di pasta, ma può causare ipoglicemia se il primo piatto è costituito da un brodino.
     
  • Ma l’anziano non ha una vita regolare, abitudini standardizzate?
  • Questo è quello che pensano i giovani! A parte le battute, è vero per l’anziano pienamente autosufficiente, ma pensiamo a chi non lo è. Molti pazienti insulinotrattati per contrastare l’iperglicemia mattutina praticano l’insulina prima di andare a letto, diciamo alle 22. L’iniezione la fa la figlia. Viene l’estate e la figlia va in vacanza con la famiglia. Il compito viene delegato alla vicina di casa che però arriva alle 20. È la stessa cosa? No. Non lo è perché in questo modo l’effetto dell’insulina si esprimerà nella prima parte della notte quando il paziente è ancora sotto l’effetto dell’ipoglicemizzante orale o dell’insulina praticata prima di cena. Oppure pensiamo agli anziani che passano alcuni mesi a casa di un figlio e altri a casa di un secondo figlio. Famiglie diverse, ritmi diversi... l’anziano fa una vita molto complessa anche se magari non sempre lo vorrebbe. Non bisogna dimenticare infine che durante i mesi caldi l’assorbimento dell’insulina dai tessuti è più veloce, e questo può causare cali glicemici.
     
  • Insomma per l’anziano meglio iper che ipo...
  • Pensiamo a un anziano cardiopatico iperteso ma senza complicanze. Io non gli assegnerei come obiettivo un compenso perfetto, diciamo una emoglobina glicata inferiore a 7. Preferisco dirgli di rimanere in un range di 125-200 mg/dl di glicemia che lo tiene al riparo da episodi ipoglicemici. Questo soprattutto se vive da solo.
     
  • La differenza fra l’anziano che vive da solo e quello seguito da parenti è importante?
  • Sì, di fatto il profilo di rischio cambia completamente. Per esempio capita spesso che la persona che vive da sola salti un pasto. Se lo fa dopo aver assunto un secretagogo può andare incontro a una ipoglicemia se i valori glicemici sono bassi. Gli eventi iper e ipoglicemici nell’anziano con diabete di tipo 2 si sviluppano lentamente e non possono sfuggire allo sguardo di un parente o di un infermiere-badante ben istruito. Pertanto è compito del Team diabetologico confrontarsi anche con queste figure professionali, dando loro le informazioni necessarie.