Attenti al gluten-free “fai da te”: la moda rischia di danneggiare i veri celiaci
Il marketing è capace di tutto: imporre una dieta senza glutine a chi non ne ha bisogno, ma anche sottovalutare le vere intolleranze. È un rischio seguire le mode, ma anche andare troppo controcorrente. A ristabilire l’equilibrio ci pensano i gastroenterologi della Sige.
Le mode alimentari non fanno bene alla salute. Un caso per tutti: i cibi gluten free. Chi è che rischia in questo caso? Certamente chi sceglie la dieta celiaca senza averne effettivamente bisogno, ma ancora di più chi, fidandosi solo dell’autodiagnosi, si convince di avere una semplice intolleranza al glutine mentre è effettivamente celiaco e andrebbe seguito da uno specialista. E poi ci sono gli “snob”, gli scettici, gli “anticonformisti” che, ignorando volutamente la tendenza in voga in quel momento, resistono alle lusinghe del marketing e stanno alla larga da test diagnostici troppo “trendy” per i loro gusti. Con il risultato in molti casi di sottovalutare un problema reale. Insomma la moda può falsare tutto e danneggiare sia chi la segue che chi va controcorrente. A ristabilire l’equilibrio scendono in campo, con valutazioni scientifiche e non ideologiche, i gastroenterologi della Società italiana di gastroenterologia (Sige). «In un mondo sempre più dominato da mitologie dietetiche fomentate da una informazione ad alto flusso, di facile accesso ma non controllata e non sempre attendibile – sottolinea Antonio Craxì, presidente della Sige – il ruolo di una società scientifica è quello di fornire al pubblico la visione più aggiornata, comprensibile e nel contempo bilanciata su quanto la ricerca scientifica, ma anche le mode del momento pongono all'attenzione di tutti».
Sensibilità al glutine o celiachia?
I gastroenterologi mettono in guardia sui rischi del “fai da te”: molti di coloro che si auto-diagnosticano una sensibilità al glutine non celiaca (Ncgs) sono in realtà dei veri celiaci e come tali vanno inquadrati e seguiti da uno specialista. Ma che cos’è la Ncgs? I sintomi sono simili a quelli della sindrome dell’intestino irritabile (pancia gonfia, dolori addominali, diarrea alternata a stipsi), molto frequenti tra la popolazione generale, in particolare tra le donne, spesso accompagnati da stanchezza, malessere generale, cefalea, difficoltà di concentrazione, eczemi, dolori articolari. Ma le cause potrebbero essere il glutine o le altre proteine del grano.
Non solo glutine
Si allarga sempre più, per esempio, la rosa delle potenziali proteine alimentari “colpevoli” dei disturbi tipici della Ncgs. Se finora l’indice è stato puntato solo contro il glutine, più di recente sul banco degli imputati sono comparse anche altre proteine del grano.
Le ultime in ordine di tempo, protagoniste anche di uno studio presentato di recente a Vienna alla Ueg Week 2016, sono gli inibitori dell’amilasi-tripsina o Ati, che rappresentano il 4 per cento appena di tutte le proteine del frumento. Secondo gli autori di questo studio, le Ati, piccoli frammenti di proteine antigeniche contenute nel frumento insieme al glutine, sarebbero in grado di “accendere” l’infiammazione a livello dell’intestino, da dove si diffonderebbe a una serie di tessuti quali linfonodi, reni, milza e addirittura il cervello.
I pazienti sensibili alle Ati non sono celiaci e hanno sintomi gastrointestinali o talora molto vaghi come cefalea, difficoltà di concentrazione, senso di testa vuota anche a distanza di minuti dopo aver consumato cibi contenenti frumento. Anche per questo ci si sta orientando in tutto il mondo a parlare non più o non solo di “intolleranza al glutine”, ma di “intolleranza al grano”.
Disturbi di moda o problemi reali?
A sciogliere il dubbio sono i dati. Le stime dicono che interessa almeno un italiano su cento (come in tutto il mondo occidentale), anche se i soggetti geneticamente predisposti a questa condizione sono circa il 30 per cento della popolazione, cioè quasi una persona su tre. La moda quindi ha una sua ragion d’essere.
«La celiachia – spiega Carolina Ciacci, ordinario di Gastroenterologia dell’Università di Salerno - è un’intolleranza al glutine, un complesso di proteine presenti nel grano e in altri cereali (orzo, segale, ecc.) che attiva una risposta immunologica in persone geneticamente predisposte». La predisposizione genetica è data dalla presenza dei geni HLA-DQ2 e/o HLA DQ8. Negli individui portatori dei geni predisponenti, il glutine può scatenare una reazione immunitaria con conseguente produzione di auto-anticorpi e di molecole infiammatorie, e citochine) che vanno a danneggiare la mucosa intestinale (atrofia dei villi, infiltrazione della mucosa con cellule infiammatorie), alterando la permeabilità dell’intestino.
La diagnosi
«Nel sospetto clinico di celiachia e mentre il soggetto sta facendo una dieta contenente glutine – spiega Ciacci – va effettuata la ricerca di anticorpi anti-transglutaminasi IgA nel sangue e il dosaggio delle immunoglobuline IgA totali. Se il test risulta positivo si fa un secondo prelievo per gli anticorpi anti-endomisio IgA. Per avere un’ulteriore certezza si possono fare anche i test genetici. La positività di questi esami in un bambino sintomatico è sufficiente per fare diagnosi di celiachia. Nell’adulto invece si deve necessariamente fare la biopsia dei villi della seconda porzione del duodeno per fare diagnosi di celiachia».
Mentre per la celiachia i criteri diagnostici sono chiari e non lasciano adito a dubbi, molto più controversa è la diagnosi di “sensibilità al glutine non celiaca”. In linea di massima gli esperti concordano che, se dopo sei settimane di dieta priva di glutine, non si osservano miglioramenti sui sintomi addominali, la diagnosi di Ncgs può essere esclusa con ragionevole certezza.
I sintomi della celiachia
«Il 40 per cento delle persone colpite da celiachia – spiega Ciacci - presentano i classici sintomi gastro-intestinali, cioè diarrea, gonfiore, malassorbimento, perdita di peso, proteine e calcio basso nel sangue, astenia, facile affaticabilità. Il restante presenta una forma subclinica perché la sintomatologia, come sintomo riferito è molto vaga, mentre sono presenti dei segni di laboratorio come l’anemia da carenza di ferro, presente nell’80 per cento di questi soggetti. Infine c’è circa un 10 per cento di soggetti “celiaci silenti”, completamente asintomatici nonostante la positività degli anticorpi anti-transglutaminasi e anti-endomisio e il danno a carico della mucosa del duodeno; questi pazienti vengono scoperti quando si fanno gli screening familiari».
I servizi per i celiaci
Quando viene diagnosticata la celiachia, il Servizio sanitario nazionale garantisce la gratuità di alcuni esami per questa condizione ai familiari di primo grado (il 10% dei familiari di un paziente con celiachia è teoricamente affetto da questa condizione). «Va infine ricordato che nel 20-25 per cento dei soggetti con celiachia - spiega Ciacci - è presente anche una tiroidite autoimmune, in particolare tra le donne, che va dunque ricercata col dosaggio degli ormoni tiroidei e degli anticorpi anti-tiroide». La terapia della celiachia consiste nel seguire per tutta la vita una dieta priva di glutine. Sono attualmente allo studio, come possibili terapie della celiachia, un vaccino e alcuni enzimi da assumere insieme ai cibi contenenti glutine, che lo predigeriscono prima che arrivi al duodeno.
La terapia
L’unica terapia realmente efficace è la dieta priva di glutine (gluten free diet, o Gfd), che rappresenta l’unico modo certificato per portare a una progressiva normalizzazione degli anticorpi e dei danni della mucosa intestinale. Naturalmente ci sono molte linee di ricerca che stanno cercando di valutare la fattibilità e l’efficacia di trattamenti alternativi, vista l’evidente difficoltà del seguire un regime alimentare del tutto privo di glutine vita natural durante.
Sul fronte della Ncgs, non esistendo una diagnosi di certezza non è possibile dare indicazioni specifiche neppure nel campo della terapia. Molti di questi soggetti finiscono con l’adottare spontaneamente una dieta gluten free, che in alcuni contesti, come gli Stati Uniti, dove la moda impazza, è stata adottata spontaneamente da un americano su quattro, portando il mercato dei prodotti gluten-free a incassare cifre record: 11,6 miliardi di dollari.
Tratto da: Healthdesk, 01 novembre 2016