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Diagnosi precoce del tumore al pancreas: chi è più a rischio?

Negli Usa, come in Italia, si lavora per individuare gruppi di persone da tenere sotto osservazione per diagnosticare il prima possibile la malattia. Come chi ha il diabete, malattie e cisti pancreatiche e mutazioni "Jolie". Un terzo dei casi, inoltre, è legato al fumo.

Il tumore del pancreas è in aumento in tutto il mondo e si avvia a diventare la seconda causa di morte per cancro in meno di 10 anni. Parliamo di un tumore cattivo, associato a una sopravvivenza che nell’ultimo decennio non ha beneficiato di grandi progressi, da noi come ovunque: oggi, quando la malattia viene scoperta (da noi sono 13mila le nuove diagnosi ogni anno) nel 90% dei casi è già in fase avanzata, e solo il 10% è operabile. Di questa quota, che già è piccola, sopravvive a 5 anni il 20-25%. Ma ci sono motivi per essere ottimisti che arrivano dallo Yale Cancer Center, dove si sta lavorando per identificare gruppi di persone a rischio. “Siamo molto impegnati per cambiare le cose - ha detto James Farrell, direttore dello Yale Center for Pancreatic Diseases - e crediamo che i progressi più significativi si avranno migliorando la diagnosi precoce”. Farrell e il suo team sono concentrati su tre fattori di rischio per battere il cancro sul tempo.

I tre gruppi più a rischio

"Il primo gruppo è formato da quelli che hanno una storia familiare di malattia o sono portatori di una mutazione che li espone a un rischio maggiore", ha spiegato Farrell: "Su queste persone eseguiamo regolarmente esami di diagnostica per immagini e test del sangue alla ricerca di marcatori che aiutino a scoprire il tumore appena si sviluppa". Il secondo gruppo, molto più esteso del primo, è quello di chi soffre di cisti pancreatiche. La maggior parte di queste cisti, che si vedono alla risonanza magnetica e alla tac, non evolverà mai in un tumore, ma alcune lo fanno. “È in corso una ricerca per trovare nuovi biomarcatori tumorali nel sangue o nelle cisti”, ha aggiunto l’oncologo. Il terzo gruppo è quello di chi si ammala di diabete di tipo 2, spesso intorno ai 50 anni. Il meccanismo esatto che lega le due patologie - cancro del pancreas e diabete - non è chiaro, ma gli scienziati stanno cercando di capirlo “e si stanno rendendo conto - ha detto Farrel - che questa associazione potrebbe essere presente anche tre anni prima che a un paziente venga diagnosticato il tumore".

Trovare il tumore quando è più piccolo di un centimetro

“C’è più di una ragione per cui la prognosi è spesso infausta”, dice Stefano Cascinu, direttore del Cancer Center del San Raffaele di Milano: “Certamente la diagnosi tardiva è fondamentale, ma c’è anche il fatto che questo tumore ha una biologia e una anatomia particolare”. Il pancreas, infatti, è vicino a vasi importanti, quindi, anche quando la lesione tumorale è piccola, la probabilità che le cellule cancerose siano già entrate in circolo e che si siano formate metastasi è del 30%: “Dobbiamo cercare pazienti con tumori di un centimetro al massimo, ma oggi in oltre il 90% dei casi al momento della diagnosi il centimetro è superato”. Quindi? Bisogna agire su due fronti contemporaneamente: sulla prevenzione dei nuovi casi, lavorando sui fattori di rischio legati allo stile di vita a partire dal fumo (il 30% dei casi cancro del pancreas è collegato al tabagismo), e sulla diagnosi precoce individuando i pazienti che hanno un maggiore probabilità di ammalarsi.

Mutazioni "Jolie" e familiarità

“Da un anno e mezzo circa abbiamo capito che anche la familiarità per tumore del pancreas è sorretta dai geni BRCA 1 e 2 e che, come risulta da un’analisi italiana condotta al San Raffaele, il 7-8% dei pazienti con tumore pancreatico è portatore di queste mutazioni”, continua l’oncologo: “Quando individuiamo nuclei familiari con queste mutazioni dovremmo approfondire le indagini, non solo per il carcinoma mammario e ovarico, ma anche per il pancreas. Poi ci sono tutti i pazienti con alterazioni dell’organo, per esempio tutti quelli che hanno pancreatiti autoimmuni o pancreatiti familiari che, in quanto fenomeni infiammatori, possono predisporre allo sviluppo di questa forma di cancro. Anche questi pazienti vanno studiati attentamente e con specifici programmi di diagnosi”.

Il nesso con il diabete di tipo 2

Infine c’è la questione della relazione tra diabete e tumore, la cui esistenza è nota da anni, anche se ancora oggi è difficile dire se il diabete predisponga al cancro del pancreas (che lo ricordiamo è l’organo che produce insulina e glucagone, gli ormoni coinvolti nel metabolismo del glucosio) o se invece non sia, al contrario, una conseguenza della malattia. “È così – conferma l’oncologo – però sappiamo da tempo che quando le due patologie sono associate, il diabete si manifesta da sei mesi a un anno prima del tumore. E per questo, quando ci imbattiamo in un 50enne che sostanzialmente non ha fattori di rischio, né uno stile di vita sedentario e magari è anche magro, dovremmo sempre studiare il suo pancreas, perché è probabile che ci sia anche un tumore sottostante, che però verrà diagnosticato un anno dopo o anche più di un anno dopo, in fase ormai avanzata”. Insomma, se riuscissimo a incrementare i controlli focalizzandoci su diabete, familiarità e alterazioni pancratiche avremmo molte più diagnosi affrontabili con la chirurgia, sicuramente più del 10%. “Esattamente – conferma e conclude Cascinu - ed è quello che stanno provando a fare a Yale e che stiamo facendo anche noi in Italia”.

Tratto da: La Repubblica Salute, Tina Simoniello, 28 dicembre 2021