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C.F. 98152160176

I bimbi diabetici insulino-dipendenti hanno diritto all’accompagnamento Inps

Lo ha stabilito la Suprema corte accogliendo il ricorso di una mamma dopo il diniego del Tribunale di Sondrio

l bimbi che, fin da piccini, sono affetti dal diabete e sono “insulino-dipendenti” hanno diritto all’indennità dell’Inps: il fatto che conducano una “vita normale” e compiano tutti gli atti della vita quotidiana della loro età non fa venir meno il loro diritto ad avere “un aiuto permanente” per assumere l'insulina, fino a che non sono in grado di capire la “necessità dell'atto terapeutico” e farsene carico.

Lo sottolinea la Cassazione che ha accolto il ricorso di una mamma: tutti i giorni si assentava dal lavoro per raggiungere la figlia a scuola e darle l'insulina perché alla bimba era stato negato l'aiuto Inps. Con sentenza emessa dal Tribunale di Sondrio nel 2020, infatti, la signora Laura - nome di fantasia per motivi di privacy - si è vista negare l'indennità di accompagnamento in favore della sua bimba, colpita dal diabete mellito a partire dai tre anni.

Secondo il parere delle toghe lombarde, infatti, la piccola “pur bisognosa di quotidiane somministrazioni di insulina da parte della madre prima con penna insulinica, poi con Pod mediante caricamento ad attivazione, non era incapace di compiere autonomamente gli atti della vita quotidiana”.

In proposito, i giudici di merito rilevavano - a sostegno del diniego della misura di welfare - che "a parte le somministrazioni, la minore risultava svolgere comunque una vita normale compatibile con l'età”. Allora la madre si è rivolta alla Suprema Corte sostenendo che il tribunale aveva “erroneamente negato l'indennità di accompagnamento” per sua figlia “a dispetto della necessità di un aiuto permanente per il compimento di un essenziale atto quotidiano della vita, come la somministrazione d'insulina”.

Per i supremi giudici - ordinanza 7032, Quarta sezione civile - il ricorso della mamma “è fondato” e il Tribunale deve rivedere la sua decisione. Secondo la Cassazione, “l'incapacità richiesta per il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento non è commisurata al numero degli elementari atti giornalieri, ma alla loro incidenza sulla salute del malato e sulla sua dignità come persona”.

"Anche l'incapacità di compiere un solo genere di atti - prosegue la Suprema Corte - può attestare, per la rilevanza di questi ultimi e l'imprevedibilità del loro accadimento, la necessità di una effettiva assistenza giornaliera”. Pertanto, il Tribunale di Sondrio ha sbagliato a disconoscere “il diritto all'indennità di accompagnamento, solo perché la minore conduceva una 'vita normale compatibile con la sua età', nel periodo in cui necessitava dell'assistenza della madre per l'assunzione dell'insulina”.

I supremi giudici ricordano che nel novembre 2015 la bimba utilizzava un mini Pod che veniva gestito dalla madre per il caricamento dell' insulina e l'erogazione del farmaco, e tutti i giorni la madre fino al giugno 2018 usciva dal lavoro per andare dalla figlia che frequentava la scuola elementare per erogarle la terapia. Poi con il passaggio alla scuola media inferiore, la bimba - ormai più grandicella - riusciva “ad utilizzare da sola l'erogatore e non aveva più bisogno dell'intervento del genitore”. Per gli anni dal 2015 al 2018 “Laura” vuole che sia riconosciuto il diritto della figlia all'indennità. Secondo la Cassazione, l'impossibilità di compiere gli atti della vita quotidiana deve essere intesa anche “alla luce dell'età, delle condizioni psicofisiche” di chi chiede l'accompagnamento e quando si tratta di bambini si deve tenere presente quando ancora non possiedono “la capacità di intendere il significato, la portata, la necessità, l'importanza degli atti quotidiani” dai quali dipende “la salvaguardia della propria condizione psicofisica”.

Tratto da: Il Giorno, 13 marzo 2023