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Diabete, potremo dimenticarci l’insulina?

Il pancreas artificiale, che misura la glicemia tramite sensori ed eroga l’ormone con un microinfusore, è sempre più vicino.

Il pancreas smette di produrre l’insulina, l’ormone indispensabile per utilizzare il glucosio del cibo come «benzina» per far funzionare l’organismo, e la glicemia sale, sale senza controllo. Danneggia i tessuti, mentre gli organi non hanno energia a sufficienza: è il diabete di tipo 1 e da quando arriva la diagnosi la vita viene inevitabilmente scandita dalle iniezioni di insulina. Una necessità di cui tutti i diabetici vorrebbero liberarsi con il pancreas artificiale: è un sogno impossibile? Alla domanda ha risposto durante gli incontri dell’edizione 2020 del Tempo della Salute Emanuele Bosi, primario dell'Unità di Medicina Generale indirizzo diabetologico ed endocrino-metabolico all'IRCCS Ospedale San Raffaele e docente di Endocrinologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, Milano.

Nuove tecnologie

Il sogno è accarezzato da decenni: negli anni ‘70 era stato inventato il Biostator per sostituire il pancreas ‘difettoso’, ma costringeva i pazienti nel letto ed era grande come un armadio. Oggi la tecnologia ha fatto passi da gigante e come spiega Bosi «Il pancreas artificiale non è così lontano, anzi. Sensori e microinfusori sono ormai adeguati al monitoraggio e all’erogazione precisa dell’ormone, l’elemento più critico è l’algoritmo che deve farli «dialogare» decidendo quanta insulina dare e quando darla in risposta alle concentrazioni di glucosio in circolo: il nostro pancreas, per esempio, inizia a produrre insulina anche prima dell’inizio di un pasto e questo non sarà probabilmente mai possibile insegnarlo a uno strumento. Tuttavia, esistono già dispositivi che possono gestire con buona efficacia la produzione basale dell’ormone e quindi l’intera giornata, senza dare rischi di ipoglicemia (in caso gli zuccheri in circolo calino oltre un certo limite, il sensore per il monitoraggio continuo lancia un allarme, ndr). Non è però possibile, oggi, «dimenticarsi» del tutto il diabete di tipo 1 perché gli strumenti disponibili richiedono un intervento per esempio in momenti come i pasti, per aggiustare la dose di ormone».

Per giovanissimi e non solo

Serve insomma un po’ di addestramento per utilizzare i dispositivi attuali, oltre che un atteggiamento psicologico giusto: «Sensori e microinfusori sono tuttora oggetti visibili, per quanto il design li abbia resi piccoli ed esteticamente poco invasivi, per cui può essere necessario sostenere i pazienti perché vi si abituino», specifica Bosi. «Le persone con diabete di tipo 1 a cui potrebbe essere adatto il pancreas artificiale sono teoricamente tutte; i bambini sono bravissimi ad adattarsi, i più giovani spesso sanno orientarsi ancora meglio di noi, fra le nuove app per il monitoraggio e gli strumenti digitali necessari. Può essere più complicato negli adolescenti, che talvolta rifiutano la malattia e quindi anche ciò che può servire per curarla, e in chi è meno avvezzo alla tecnologia perché più avanti con gli anni; tuttavia gli apparecchi sono e saranno sempre più semplici da usare e anche queste difficoltà potranno essere ben presto superate». Oggi si spende poco per la tecnologia, appena il 4 per cento dei costi complessivi sostenuti per il diabete di tipo 1 e 2: gran parte delle spese riguarda la gestione delle complicanze, che arrivano implacabili se la glicemia non è tenuta bene sotto controllo. «Dovremmo essere meno miopi e spendere di più su ciò che consente di avere un buon monitoraggio e controllo glicemico, per risparmiare in eventi avversi negli anni”, osserva Bosi. «Vale anche per le persone con diabete di tipo 2: misurare di frequente la glicemia con il pungidito e le strisce è fondamentale per gestire bene la malattia e prevenire le complicanze. Tutti dovrebbero conoscere e monitorare la propria glicemia», conclude il diabetologo.

Tratto da: Corriere Salute, Elena Meli, 5 novembre 2020