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Diabete, oltre alla genetica ci sono i nostri comportamenti

La familiarità ha un ruolo ma perdere peso e muoversi almeno 30 minuti al giorno riduce del 60% l'incidenza della malattia,

Non trinceratevi dietro all’alibi della genetica. E non pensate troppo ad un metabolismo che varia, visto che mutamenti significativi in questo senso possono essere legati soprattutto alla presenza di altre patologie. Anche se avere padre e/madre con diabete di tipo 2, che predispone all’insorgenza della malattia, a fare la differenza sono soprattutto le buone abitudini, sotto forma di controllo del peso, regolare attività fisica e alimentazione sana. A segnalare come il diabete sia soprattutto conseguenza di stili di vita non proprio salutari è una ricerca che ha preso in esame quasi 450.000 persone, i cui dati sono stati analizzati con cura da un gruppo di ricercatori guidati da Brian Ference che, oltre ad essere docente all’Università di Cambridge, è Visiting Professor all’Università di Milano.

Lo studio, presentato al congresso della Società Europea di Cardiologia (ESC), ha cercato di capire quale fosse il peso della genetica sullo sviluppo di malattia metabolica e sui rischi ad essa correlata, per provare a valutare una  prevenzione “su misura” per chi è portatore di queste “stimmate” ereditarie, e quanto invece “pesino” le abitudini della vita di ogni giorno. Sono stati presi in esame soggetti di età media intorno ai 57 anni, per la maggior parte di sesso femminile, le cui informazioni genetiche e sull’indice di massa corporea (Il classico Bmi o Imc che indica se si è in sovrappeso o addirittura obesi) sono state “mixate” con la predisposizione genetica. In base alle caratteristiche del DNA, infatti, le persone valutate sono state divise in cinque gruppi, in base appunto alla tendenza geneticamente determinata di sviluppare il diabete di tipo 2. Alla fine del periodo di osservazione, di circa otto anni, che ha visto la comparsa di oltre 31.000 casi di diabete di tipo 2, si sono tirate le somme.

Chi aveva un Indice di Massa Corporea più alto, sopra i 34,5, ha mostrato un rischio maggiore di circa 11 volte di sviluppare il diabete rispetto a chi invece era magro, ovvero nell’ultimo gruppo in base a questo parametro, con IMC intorno a 22. In pratica, quindi, si tratta di una conferma: chi ha chili in eccesso, quanto più ingrassa tanto più vede crescere il rischio di diabete. Come a dire che sono soprattutto le cattive abitudini, più che quanto è scritto nel DNA che pure ha significato, a modificare le condizioni metaboliche che aprono la strada alla malattia. Il tutto, vale la pena di ricordarlo, indipendentemente dal fattore tempo: quando si supera un certo livello di IMC, il rischio sale comunque.

Che cosa dipende da noi

Insomma: attenzione alle abitudini. E non trinceratevi dietro quei “cambi di metabolismo” che a volte possono essere invocati come fattore chiave per l’incremento del peso corporeo. Lo conferma Fabio Broglio, professore associato di Endocrinologia dell’Università di Torino, tra i protagonisti di “SaluTO- Torino medicina e Benessere” svoltosi nel capoluogo piemontese. “Il metabolismo di una persona dipende da diversi fattori: c’è una componente genetica di base su cui si aggiunge anche il genere di appartenenza, l’età, il peso corporeo e, se presenti, l’effetto di alcune patologie”,  fa sapere l’esperto. “Nel caso dell’età, ad esempio, man mano che invecchiamo tendiamo a perdere massa muscolare e ad incrementare la massa grassa e questo determina un rallentamento del metabolismo. Per quanto riguarda lo sviluppo di diabete di tipo 2 esistono fattori di rischio non modificabili, come la familiarità (la genetica conta), l’età, l’appartenenza ad etnie a rischio, fattori sui quali non si può intervenire. Cosa che si può fare invece per quanto riguarda l’eccedenza di peso e la sedentarietà, ma anche fattori emergenti tra cui disturbi del sonno o il fumo di tabacco”.

Come comportarsi, quindi, in chiave di prevenzione?  “Gli studi più importanti di prevenzione del diabete tipo 2 hanno mostrato l'efficacia della riduzione del consumo di grassi saturi e un aumento delle fibre vegetali oltre alla perdita di peso e all’aumento dell’attività fisica, ma non è possibile discriminare con esattezza il peso delle singole componenti – segnala Broglio - per quanto riguarda le abitudini alimentari vanno tenute in considerazioni quantità e qualità, ricordando il beneficio derivante dalla riduzione degli acidi grassi saturi e dall’incremento di quelli poli- e monoinsaturi, fibre e alimenti a basso indice glicemico. Per quanto concerne il movimento, un’attività fisica aerobica di moderata intensità e della durata di almeno 20-30 minuti al giorno o 150 minuti alla settimana e il calo ponderale del 5-10% riescono a ridurre - ed è documentato - anche fino al 60% l’incidenza del diabete di tipo 2”.

Tratto da: La Repubblica Salute, Federico Mereta, 03 ottobre 2020