Celiachia, la disbiosi intestinale causa della permanenza di sintomi in soggetti a dieta
Malattia autoimmune multifattoriale su base genetica, la celiachia interessa oltre l'1% della popolazione, in maggioranza donne. Un dato in aumento rispetto al passato, sia per ragioni ancora poco chiare, sia per la maggior accuratezza dei mezzi diagnostici attualmente disponibili.
Si sa che la malattia è ugualmente diffusa in tutto il mondo e che contrariamente a quanto si riteneva fino a 40 anni fa può insorgere anche in età adulta, con una sintomatologia a volte sfumata. La malattia celiaca clinica è però solo la quota minore rispetto a quella di chi presenta una celiachia silente o potenziale, essendo geneticamente predisposto.
Sulle possibili cause scatenanti sono state formulate alcune ipotesi, accomunate dall'idea che «il microbiota intestinale possa avere un ruolo nell'insorgenza della malattia: tipo di alimentazione infantile, infezioni contratte nell'infanzia e abuso di antibiotici ad ampio spettro. Fattori che causano l'alterazione del microbiota il quale a sua volta influenza la funzione immunitaria e la permeabilità intestinale» precisa Carlo Catassi, Direttore Clinica Pediatrica Università Politecnica delle Marche.
Rispetto ad alcune decine di anni fa sono mutati anche i criteri di diagnosi: «Un tempo la celiachia era ritenuta una malattia del bambino e prevaleva la conoscenza della forma classica, con esordio entro i primi anni di vita e compromissione della crescita» spiega Basilio Malamisura, Direttore U.O. di Pediatria e Centro di riferimento regionale per la Celiachia, A.O. Universitaria di Salerno. «In anni successivi la malattia è stata riscontrata in pazienti ai quali non si sarebbe mai pensato di poterla attribuire, come donne con anemia inspiegata, tendenza all'aborto, osteoporosi».
La sintomatologia aspecifica, e spesso sovrapponibile a quella della sindrome del colon irritabile (Ibs), è causa di un ritardo diagnostico che nell'adulto può raggiungere i dieci anni. Questo richiede una maggior attenzione da parte del medico di famiglia, che gioca un ruolo chiave nell'iter diagnostico. Una volta intercettato il paziente con un quadro sospetto occorre «procedere con la ricerca degli anticorpi diretti contro la transglutaminasi, enzima espresso dall'intestino tenue che interagisce con la gliadina, la proteina responsabile della reazione immunitaria che caratterizza la celiachia, e con il dosaggio delle IgA sieriche» continua Malamisura.
D'altra parte, esistono dei collegamenti tra le due condizioni, entrambe spesso innescate da ingestione di alimenti a base di frumento ma con meccanismi diversi. Spiega Malamisura:«nel caso della celiachia la reazione viene innescata dall'ingestione di una proteina contenuta nel frumento, la gliadina, che si assembla con le glutenine durante la lavorazione dell'impasto a costituire il glutine. Invece nell'IBS la responsabilità è da attribuire ad altri costituenti del frumento, tra cui alcuni zuccheri non digeribili che vengono fermentati dalla flora batterica intestinale producendo gas in eccesso, responsabili dei vari disturbi dell'IBS. Quindi c'è una correlazione tra le due patologie per quanto riguarda l'agente scatenante che può essere comune». Le linee guida raccomandano oggi di escludere la celiachia come primo passo in tutti i pazienti che lamentano sintomi riconducibili all'IBS, in quanto non esistono marcatori in grado di determinare quest'ultima con certezza.
Una quota non trascurabile dei pazienti con malattia celiaca continua a manifestare sintomi anche osservando la dieta gluten free. Questa osservazione, e l'aver osservato che il microbiota intestinale di questi individui è diverso rispetto a quello degli individui sani, ha portato a ipotizzare che agendo sul microbiota attraverso la somministrazione di specifici probiotici, carenti in questi pazienti, si possano controllare i sintomi lamentati dal paziente celiaco.
Un recente studio condotto in Italia ha dimostrato che la somministrazione di probiotici appartenenti a due ceppi di lattobacilli e tre ceppi di bifidobatteri (le classi che risultano più carenti nel microbiota dei soggetti celiaci) porta al miglioramento dei sintomi gastrointestinali e alla riduzione della percezione del dolore, con un aumento dei livelli di questi probiotici nel microbiota che si mantiene anche dopo il termine del trattamento.
Tratto da: Doctornews, Stefania Cifani, 08 novembre 2018