Celiachia: i grani antichi non sono migliori di quelli moderni
A sostenerlo uno studio italiano pubblicato sulla rivista Food Research International
Grano, segale, farro, orzo e avena. Tutti nemici dei celiaci, si sa. Ma c’è una differenza tra grani antichi e grani moderni? È vero, come spesso si sente dire, che i grani antichi sono meno tossici per i celiaci e che hanno livelli più alti di carboidrati potenzialmente prebiotici come l’amido resistente e le fibre? Sono state queste le domande che hanno guidato un gruppo di ricercatori del Crea Cerealicoltura e Colture industriali di Foggia e delle Università di Modena-Reggio Emilia e di Parma, all’interno del progetto “Antiche varietà di frumento duro e salute: valorizzazione della filiera pastaria, claim salutistici ed etichettatura nella cornice normativa interna e sovranazionale”, finanziato dal Fondo di Ateneo dell’Università di Modena e Reggio Emilia per la Ricerca 2015.
Lo studio - pubblicato sulla rivista Food Research International - sostiene che i grani antichi, rispetto ai moderni, in realtà sono caratterizzati da un contenuto di proteine e glutine maggiore: rilasciano, pertanto, cioè una maggiore quantità di peptidi coinvolti nella malattia celiaca. E quindi l’incremento dei casi di celiachia non sembrerebbe una conseguenza del miglioramento genetico condotto nel secolo scorso. Nel passato, infatti, si è cercato di ridurre l'altezza delle piante per aumentare la resa. Se un tempo i frumenti arrivavano a oltre due metri di altezza e al primo temporale si allettavano - cioè si piegavano - determinando una perdita di raccolto, oggi, invece, sono molto più bassi, ma molto più produttivi: proprio la necessità di ridurre l'altezza delle piante, renderle più resistenti all’allettamento con l’obiettivo di avere più produzione segna il confine tra grani antichi e moderni.
• I GRANI ANTICHI HANNO PIÚ PEPTIDI RESPONSABILI DELLA CELIACHIA
I ricercatori hanno confrontato 9 grani antichi - considerati ormai obsoleti - diffusi maggiormente nel Sud Italia e nelle Isole dagli inizi del 1900 fino al 1960 con 3 grani moderni. I campioni di grano sono stati coltivati e raccolti presso il CREA di Foggia nelle stesse condizioni sperimentali di campo, per poi essere macinati e sottoposti tutti a digestione in vitro dall’Università di Modena e Reggio Emilia. “Si tratta - spiega Donatella Ficco, coordinatrice del team CREA - di una digestione realizzata in laboratorio in cui sono state riprodotte le condizioni enzimatiche e di pH dell'apparato digerente". In questo modo le proteine sono state ridotte in molecole più piccole, dette peptidi, che sono state analizzate, dall’Università di Parma, mediante cromatografia legata alla massa, una tecnica usata per separare, identificare e quantificare i peptidi sulla base del loro rapporto massa/carica. “I peptidi - prosegue Ficco - sono le proteine digerite derivanti dal glutine, definito come il complesso viscoelastico capace di rendere il pane più soffice e la pasta più al dente. Dal lavoro è emerso che i grani antichi contengono in maggiore quantità dei peptidi noti per essere responsabili della reazione immunitaria”. Rilasciano cioè una maggiore quantità di peptidi che scatenano la celiachia.
• QUANTITÁ DI AMIDO RESISTENTE: NESSUNA DIFFERENZA SOSTANZIALE TRA GRANI ANTICHI E MODERNI
Per quanto riguarda le componenti prebiotiche, in particolare l’amido resistente, sulla base di uno screening iniziale effettuato sui 12 campioni oggetto di studio, il CREA ha selezionato due grani: uno antico ad alto contenuto di amido resistente e uno moderno, invece, che presentava valori opposti. Da ciascuno di essi è stata prodotta la pasta, a diverse condizioni di essiccamento. A questo punto, il gruppo dell’Università di Reggio Emilia, su ogni tipologia di pasta ha valutato l’amido resistente, prima e dopo la cottura: precisamente sui campioni di granella macinati, una volta sottoposti a digestione in vitro, è stato quantificato l'amido resistente rilasciato dopo la digestione. Obiettivo? Verificare se, anche alla fine del processo di pastificazione e dopo la cottura, nella granella dei grani antichi ci fosse un maggior contenuto di amido resistente. “In realtà - afferma Ficco - dopo la cottura della pasta, non è stata rilevata alcuna differenza sostanziale tra grani antichi e moderni. Nei grani antichi non sembra, quindi, esserci un potenziale prebiotico in più”.
• TUTELA DELLA BIODIVERSITÁ O DELLA SALUTE?
Grani antichi e grani moderni: l’argomento è sempre molto dibattuto, ma è importante fare chiarezza per aiutare a distinguere ciò che è moda e ciò che, invece, sono risultati scientificamente validi. “I grani antichi - precisa Ficco - sono sicuramente importanti in un’ottica di tutela della biodiversità, ma dal punto di vista della salute non abbiamo individuato alcuna specificità, per i parametri presi in esame, rispetto a quelli moderni. Sebbene l’indagine sia stata condotta su un numero limitato di genotipi, lo studio rappresenta un importante contributo di conoscenza su un argomento in cui spesso, purtroppo, la disinformazione regna sovrana a danno non solo del portafoglio, ma anche della salute”.
Tratto da: La Repubblica Salute, Maria Teresa Bradascio, 13 dicembre 2018