Le nuove frontiere della ricerca puntano a migliorare la vita dei pazienti e a svelare i meccanismi alla base della malattia.
Il 21 settembre, in occasione della XXXII Giornata mondiale dell’Alzheimer, il dibattito internazionale si concentra sempre più su un tema finora sottovalutato: la riabilitazione. Non solo diritto e sostegno sociale, ma anche e soprattutto campo di sperimentazione scientifica avanzata, capace di aprire scenari inediti per chi convive con la malattia.
La riabilitazione digitale: il progetto europeo “Mi-Ricordo”
Una delle novità più promettenti arriva dal progetto europeo Mi-Ricordo, coordinato dall’Università Liuc insieme alla Fondazione Don Gnocchi e ad Astir. La piattaforma digitale permette di svolgere esercizi di riabilitazione cognitiva direttamente a casa, con programmi adattati alle capacità residue di ciascun paziente.
I primi test in Italia hanno mostrato un miglioramento significativo di memoria, linguaggio e funzioni esecutive, con un’aderenza alla terapia superiore all’80% (contro il 62% dei metodi tradizionali). Inoltre, i benefici si sono mantenuti a un anno di distanza, con effetti positivi anche sul carico dei caregiver.
«Il valore di questo progetto sta nell’incontro tra tecnologia, ricerca scientifica e attenzione alla persona - spiega Valeria Blasi, neurologa e ricercatrice presso la Fondazione Don Gnocchi - Mi-Ricordo ci permette di sperimentare nuovi strumenti che supportano i pazienti nel percorso riabilitativo rispettando la loro identità culturale e il contesto familiare».
Per Emanuela Foglia, ricercatrice della Scuola di Ingegneria industriale della Liuc, «sarà una fase di vera e propria co-creazione, con adattamenti culturali e sanitari nei diversi Paesi, e una valutazione multidimensionale della piattaforma per migliorarne efficacia e sostenibilità».
Ultrasuoni per riaccendere i circuiti della memoria
Dal fronte delle neuroscienze arriva un’altra innovazione che sembra uscita dalla fantascienza: la stimolazione transcranica a ultrasuoni focalizzati a bassa intensità (LItFUS). Al San Raffaele di Roma sta per partire una delle prime sperimentazioni cliniche al mondo su pazienti con diverse forme di demenza.
«In questi ultimi anni l’armamentario terapeutico e riabilitativo delle demenze si è arricchito del contributo delle tecnologie di stimolazione transcranica non invasiva - spiega Paolo Maria Rossini, direttore del dipartimento di Neuroriabilitazione del San Raffaele - La novità degli ultrasuoni è la possibilità di concentrare energia in strutture profonde come l’ippocampo, con precisione millimetrica e senza rischi di danno cellulare».
Rossini ricorre a una metafora: «È un po’ come quando da bambini usavamo una lente d’ingrandimento per concentrare i raggi del sole in un punto preciso: allo stesso modo gli ultrasuoni focalizzati possono “accendere” aree cerebrali silenziate».
Alla radice della malattia: colesterolo e vescicole extracellulari
Se la riabilitazione e le tecnologie offrono soluzioni per migliorare la vita oggi, la ricerca di base punta a svelare i meccanismi che causano l’Alzheimer. All’Istituto Neurologico Besta di Milano sono in corso due studi che guardano al cuore della patologia.
Il primo indaga il ruolo delle vescicole extracellulari, minuscole strutture che trasportano segnali tra cellule. «Comprendendo meglio il loro ruolo potremmo capire come contribuiscono alla diffusione della malattia e individuare nuovi bersagli terapeutici» afferma Marcella Catania, ricercatrice al Besta.
Il secondo studio si concentra invece sul metabolismo del colesterolo. «Stiamo valutando l’impatto dell’enzima PCSK9, coinvolto nella neurodegenerazione e nella neuroinfiammazione - spiega Paola Caroppo, neurologa del Besta - «Questa ricerca potrebbe aiutarci a identificare nuovi biomarcatori e a chiarire il ruolo del colesterolo nella progressione dell’Alzheimer, aprendo la strada a strategie terapeutiche mirate».
Una sfida che intreccia presente e futuro
La Giornata mondiale Alzheimer 2025 restituisce un quadro chiaro: accanto al sostegno sociale e alla riabilitazione tradizionale, la ricerca scientifica sta sviluppando strumenti innovativi – dalla riabilitazione digitale agli ultrasuoni cerebrali, fino alla biologia molecolare – che potrebbero trasformare radicalmente la gestione e la comprensione della malattia.
Come ricorda Paola Barbarino, Ceo di Alzheimer’s Disease International: «Troppo spesso a chi riceve la diagnosi viene detto solo di tornare a casa e mettere in ordine le questioni di fine vita. Ma con il giusto supporto si può vivere bene per molti anni. È tempo che i sistemi sanitari offrano percorsi di riabilitazione per la demenza, come avviene per altre condizioni croniche».
Se oggi non esiste ancora una cura definitiva, il futuro dell’Alzheimer passa da qui: tecnologie, ricerca e medicina di precisione, con un obiettivo comune, ridare tempo e dignità a chi convive con la demenza.
Tratto da: Il Sole 24 Ore, Francesca Cerati, 20 settembre 2025