Prediligere il fruttosio come dolcificante può non essere sempre la scelta migliore. Le evidenze scientifiche consigliano cautela perché un uso eccessivo può causare uno squilibrio del metabolismo lipidico.
Il fruttosio è lo zucchero monosaccaride presente in maggiore quantità nel miele (fino al 41%). Viene comunemente identificato come lo zucchero della frutta, sebbene questa contenga anche saccarosio e glucosio, tanto che in alcuni frutti, come per esempio albicocche e pesche, il fruttosio è la componente zuccherina minoritaria. Da un punto di vista nutrizionale fruttosio e saccarosio hanno quasi lo stesso potere calorico (3,75 kal/g contro 4 kal/g del saccarosio), ma avendo un potere dolcificante superiore rispetto al saccarosio (circa 1,5), il fruttosio permette un introito energetico inferiore (perché se ne può usare di meno) a parità di dolcezza. Non determina invece la stessa escursione insulinemica del glucosio e ha un indice glicemico più basso del saccarosio, motivi che hanno favorito la sua sorte fra i produttori di alimenti. L'uso generalizzato come dolcificante in sostituzione del saccarosio, il comune zucchero da tavola, non beneficia però dello stesso favore da parte della scienza medica.
Si veda a questo proposito l'ultima revisione dei Larn (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana) che raccomanda "di limitarne l'uso come dolcificante e di limitare alimenti e bevande formulati con fruttosio e sciroppi di mais ad alto contenuto di fruttosio". Oggi, infatti è uno dei principali ingredienti dolcificanti, da solo o in miscela con il glucosio, soprattutto nelle bevande e nei succhi, anche grazie alla sua buona solubilità nei liquidi. Efsa ha approvato un claim per gli alimenti dolcificati con fruttosio, in cui lo zucchero sostituisca almeno il 30% del glucosio o saccarosio presenti, per quanti (individui adulti sani) vogliano ridurre la risposta glicemica post prandiale, pur sottolineando che un introito eccessivo di questo zucchero può generare complicanze a livello metabolico, come dislipidemia, resistenza all'insulina e aumento dell'adiposità viscerale. Un elevato introito di fruttosio infatti sembra aumentare a lungo termine la sintesi dei grassi con produzione di trigliceridi e incrementare il rilascio di Vldl (Very Low Density Lipoprotein) che trasportano i trigliceridi dal fegato verso i tessuti.
Sotto accusa dunque è l'elevato consumo di fruttosio da bevande zuccherate, che potrebbe favorire l'insorgere di insulino-resistenza, ma anche fegato steatosico, l'aumento del rischio di malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2. Nessuna preoccupazione invece per il fruttosio assunto con il consumo giornaliero di frutta: il lento assorbimento, la presenza di un complesso e ricco sistema di micronutrienti funzionali e il quantitativo relativamente abbondante non hanno controindicazioni per il metabolismo, anche per i diabetici.
Francesca De Vecchi - esperta in scienze e tecnologie alimentari
Tratto da: Farmacista33, 12 aprile 2016