La Fda (Food and drug administration) ha di recente emanato nuove indicazioni prescrittive relative all'uso di metformina. «Tali indicazioni» specifica Roberta Manti, Specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio presso la SC Malattie Metaboliche e Diabetologia dell'Asl TO 5 - Regione Piemonte «si riferiscono in particolare all'utilizzo della metformina nei pazienti con insufficienza renale cronica lieve -moderata (valori di filtrato glomerulare stimato [eGfr] fino a 30 ml/min) e chiaramente porteranno una modificazione in scheda tecnica delle indicazioni per quanto riguarda tutti i farmaci contenenti la metformina in questa popolazione di pazienti». Si parte dal presupposto - spiega Manti - che la metformina è un farmaco assolutamente indispensabile nella terapia di primo livello del paziente affetto da diabete di tipo 2, ma poi, possibilmente, anche negli stadi più avanzati di malattia, con una controindicazione reale in pazienti con insufficienza renale, soprattutto di grado più avanzato, dal momento che in questi pazienti la metformina presenta il rischio di acidosi lattica. «Tuttavia» aggiunge la diabetologa «sappiamo che già in passato, dal 2010 in poi, è stata valutata la possibilità in realtà di sovrastimare questo rischio di acidosi lattica nei pazienti con insufficienza renale, soprattutto in quelli con IRC grado lieve-moderato. Il rischio è appunto che, sovrastimando la probabilità di insorgenza di acidosi lattica anche in pazienti con insufficienza renale lieve/moderata, non si utilizzi un farmaco che invece sarebbe indispensabile per il controllo del diabete anche nelle fasi più avanzate di malattia». È questa, sostanzialmente, la ragione che ha indotto la Fda a effettuare una revisione di numerosi studi clinici relativi alla sicurezza della metformina in pazienti affetti da insufficienza renale lieve e moderata. Studi che, come accennato, avevano già portato nel 2011 alla stesura di raccomandazioni specifiche nell'impiego del farmaco in questi pazienti, anche se «l'attuale revisione costituirebbe una vera e propria codifica delle indicazioni in scheda tecnica dei farmaci» ribadisce Manti.
Entrando nel dettaglio della revisione delle indicazioni, «queste prevedono innanzitutto, prima dell'inizio del trattamento, una valutazione della funzionalità renale ricorrendo all'eGfr invece che alla sola misurazione della creatinina, in modo da tenere conto di parametri caratteristici del paziente come età, genere, razza e peso, computati nel calcolo dell'eGfr per definire in modo corretto il grado di insufficienza renale» spiega Manti. «Una volta valutato l'eGfr del paziente, l'Fda evidenzia la controindicazione dell'uso della metformina in pazienti con un eGfr al di sotto di 30 ml/min e l'opportunità di evitare l'inizio del trattamento con metformina in pazienti con filtrato tra 30 e 45 ml/min». Inoltre, prosegue il diabetologo, l'Fda indica la necessità di determinare l'eGfr almeno annualmente in tutti i pazienti già in terapia con metformina e più frequentemente in quelli che sono a maggiore rischio di peggioramento della funzione renale, come per esempio i pazienti anziani. «Il documento sottolinea, inoltre, l'opportunità di una corretta valutazione del rischio/beneficio, prima di decidere in merito alla sospensione del trattamento con metformina in pazienti che abbiano in corso di terapia una riduzione dell'eGFR sotto 45 ml/min e la necessità invece di sospendere sicuramente il farmaco in caso di evoluzione dell'eGFR sotto 30 ml/min». Un altro aspetto interessante delle indicazioni dell'Fda - sempre emergenti dalla revisione della letteratura - secondo Manti «è l'opportunità di sospendere la metformina in pazienti che devono eseguire esami con mezzo di contrasto iodato somministrato per via endovenosa (per l'esecuzione per esempio di una Tac) a seconda del grado dell'eGfr. Attualmente» rileva «l'indicazione prevede che la somministrazione del farmaco in questi casi venga sospesa sempre. Ora, invece, non è più prevista la sospensione in tutti i casi, ma solo per i pazienti che hanno già una contrazione del filtrato tra 60 e 30 ml/min o in caso di altre condizioni cliniche che controindicano l'uso di metformina, come insufficienza epatica, etc. Invece la sospensione della metformina è indicata per tutti, indipendentemente dal grado di eGfr, nel caso in cui il mezzo di contrasto sia somministrato per via intrarteriosa, come per esempio per l'effettuazione di una coronarografia. L'FDA» specifica ancora Manti «stabilisce inoltre la necessità della rivalutazione dell'eGfr dopo 48 ore dell'esecuzione di un esame con mezzo di contrasto per poter riprendere il trattamento con metformina nei pazienti che mantengono stabili il livello di eGFR».
Manti si sofferma sulle ragioni di queste ultime variazioni correlate agli esami con mezzo di contrasto. «Queste indagini possono peggiorare un quadro di insufficienza renale» spiega. «Quindi, se un eGfr tra 45 e 60 ml/min consente di utilizzare la metformina, ma il paziente esegue un esame con mezzo di contrasto con rischio di avere un peggioramento della funzione renale, dopo l'indagine la metformina potrebbe accumularsi e poi causare acidosi lattica. Ecco perché nelle nuove indicazioni è specificato che la metformina va sospesa nei pazienti che hanno un eGfr tra 30 e 60 ml/min, in caso di mezzo contrasto iodato somministrato per via venosa (tipo TAC). È inoltre indicato che il trattamento con metformina sia sospeso in tutti, qualora l'esame preveda l'uso di mezzo di contrasto intrarterioso: in questo caso infatti la quantità (che potrebbe essere superiore), ma soprattutto la via di somministrazione del mezzo di contrasto (intraarterioso) presenta un maggior rischio di tossicità renale acuta da mezzo di contrasto».
Le indicazioni dell'Fda rispondono sostanzialmente alla recente proposta anche dell'Ema (Agenzia europea del farmaco) di una revisione circa l'utilizzo della metformina in pazienti con insufficienza renale, essendoci profonde differenze tra le indicazioni dei foglietti illustrativi dei farmaci contenenti metformina e le evidenze delle raccomandazioni e delle linee guida. «Nella pratica clinica queste procedure sono già in atto, ma se fossero inserite in scheda tecnica sarebbero uno stimolo a una maggiore aderenza alle indicazioni ed eviterebbero il problema dell'uso off-label» osserva Manti.
Tratto da: Diabetologia33, 01 luglio 2016