L'Associazione Medici Diabetologi richiama l'attenzione sulle multi-cronicità che assorbono più del 60% della spesa sanitaria cronica e che andrebbe gestita con un approccio integrato.
Oggi in Italia si contano oltre 5 milioni di persone con diabete, 9,6 milioni con malattie cardiovascolari e 2 milioni con insufficienza renale cronica: in gran parte le stesse persone, in condizioni di multi-cronicità. Un gruppo di pazienti che assorbe oltre il 60% della spesa sanitaria cronica e genera il 70% dei ricoveri ospedalieri. Una loro gestione più integrata e un approccio terapeutico multifattoriale che superi il modello assistenziale tradizionale basato su specialità separate – responsabile di ritardi diagnostici, duplicazioni di esami e discontinuità terapeutiche – si configura come una delle sfide più urgenti della medicina moderna. Questi i temi al centro della sessione congiunta tra Associazione Medici Diabetologi (AMD) e European Society of Cardiology (ESC), durante la seconda giornata di lavori del 25esimo congresso nazionale AMD, in corso a Bologna.
Cardiologi e diabetologi devono lavorare fianco a fianco
“La necessità di una collaborazione che superi i confini tra le specialità è ormai ineludibile”, dichiara Francesco Cosentino, professore ordinario di Cardiologia al Karolinska Institute di Stoccolma e membro del board della Società Europea di Cardiologia. “Cardiologi e diabetologi devono lavorare fianco a fianco per ottimizzare i percorsi diagnostico-terapeutici, adottare una medicina personalizzata e sfruttare appieno le nuove terapie che proteggono insieme cuore, rene e metabolismo. Sappiamo oggi che i farmaci nati per il diabete, come gli agonisti del GLP-1 e gli SGLT2 inibitori, hanno effetti straordinari – continua – sulla prevenzione cardiovascolare e renale ma sono ancora sottoutilizzati. Serve un grande sforzo educativo per portarli nella pratica clinica di tutti i giorni”.
Necessario un percorso integrato per i pazienti con diabete
“Il paziente non soffre di malattie separate, ma di un sistema frammentato”, spiega Salvatore Corrao, professore ordinario di Medicina Interna presso l’Università di Palermo e consigliere nazionale AMD. “È tempo di superare i silos specialistici e costruire un percorso integrato fondato sul continuum cardio–reno–metabolico (CKM), come sostengono le più recenti linee guida. La letteratura ha ormai dimostrato che un approccio multifattoriale intensivo – prosegue – può garantire oltre 8 anni di vita in più rispetto alla cura standard. Le nuove terapie hanno dimostrato benefici simultanei su cuore, rene e metabolismo, riducendo mortalità, ospedalizzazioni e complicanze invalidanti come l’ictus. Pertanto, un incremento anche minimo nel loro utilizzo potrebbe generare centinaia di milioni di euro di risparmio annuo, oltre a ridurre significativamente disabilità e perdita di autonomia nei pazienti. Solo per lo scompenso cardiaco, ogni ricovero evitato rappresenta un risparmio di almeno 6.000 euro per il Servizio Sanitario Nazionale”.
Mettere in rete conoscenza, competenze e dati
Gli esperti sottolineano come la necessità oggi sia di tradurre le evidenze in percorsi reali, sviluppando un modello che organizza diversamente ciò che già funziona, mettendo in rete conoscenza, competenze e dati, individuando dei livelli di complessità clinica per differenti setting di cura: il modello di valutazione multidimensionale dell’Integrated Care Hub, per una gestione globale del rischio e una forte interconnessione digitale fra le varie parti del sistema. Il diabetologo rappresenta la figura chiave adatta a coordinare questo modello, capace di comprendere la complessità metabolica, ma anche di integrarla con le dimensioni cardiovascolari, renali e funzionali. L’obiettivo finale non è solo ridurre gli eventi, ma garantire equità, sostenibilità, durata e qualità di vita ai pazienti.
Tratto da: Sanità Informazione, Valentina Arcovio, 17 ottobre 2025