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Nuove frontiere nella terapia dell'obesitā: farmaci e risultati

L’obesità è una patologia cronica ingravescente e recidivante, la cui prevalenza è in continuo aumento. Si può associare a diverse complicanze metaboliche e non

L’obesità è una patologia cronica ingravescente e recidivante, la cui prevalenza è in continuo aumento. Si può associare a diverse complicanze metaboliche e non, come diabete mellito tipo 2 (DM2), dislipidemia, epatopatia metabolica steatosica non alcolica (MAFLD), ipertensione arteriosa e aumentata incidenza di neoplasie. «Il principale trattamento per migliorare la gestione delle complicanze è il calo ponderale: più si perde peso, più si ottengono benefici», afferma Luisa Lener insieme alla Commissione Obesità AME (Associazione Medici Endocrinologi), coordinata da Marco Chianelli (Ryan DH, et al. Curr Obes Rep 2017).

«Per una perdita di peso del 3-5%, si osservano miglioramenti nel DM2, come una maggiore sensibilità insulinica, una riduzione della glicemia a digiuno e un rallentamento della progressione da pre-diabete a diabete», continuano gli esperti. «Anche la pressione arteriosa (PA) registra un calo, beneficiando l'ipertensione».

«Un dimagrimento del 5-10% porta a un miglior controllo glicemico, con riduzioni significative dell'HbA1c e, in alcuni casi, una minore necessità di farmaci anti-diabetici», riportano gli specialisti. «Inoltre, si registra un miglioramento della steatosi e una riduzione dei livelli delle transaminasi epatiche in caso di MAFLD».

«Con una perdita di peso del 10-15%, aumentano le probabilità di remissione parziale o completa del DM2, insieme a miglioramenti significativi nella riduzione della fibrosi e nella funzione epatica per i pazienti con MAFLD o steato-epatite metabolica (MASH)», riferiscono Lener e colleghi. «Si osserva anche un'importante diminuzione del rischio cardiovascolare (CV), con significativi benefici sulla PA, sui lipidi e sulla funzione vascolare».

«Infine, una perdita ponderale di questa entità comporta una riduzione rilevante del rischio di mortalità CV, abbassando il tasso di eventi cardiovascolari maggiori», commentano gli esperti. «Anche la sindrome delle apnee ostruttive del sonno trae vantaggio, con una diminuzione dell'indice apnea/ipopnea».

«I farmaci ad azione centrale possono portare a una perdita di peso superiore al 15%, con benefici notevoli sulla remissione del diabete mellito tipo 2 (DM2), in particolare nei pazienti con diagnosi recente, e sulla riduzione marcata della fibrosi e della steatosi avanzata in casi di MAFLD/MASH», riportano Lener e colleghi. «Nonostante le modifiche dello stile di vita rappresentino tradizionalmente il primo approccio, da sole queste consentono spesso un calo ponderale limitato, generalmente intorno al 3-5%.»

«Per pazienti con BMI ≥ 30 kg/m² o ≥ 27 kg/m² e almeno una comorbilità correlata al peso, la terapia farmacologica è indicata come seconda linea», continuano gli esperti. «Tuttavia, le linee guida AME sull’obesità (AME. Sistema Nazionale Linee Guida, Istituto Superiore di Sanità, 2023) permettono l’utilizzo della terapia farmacologica già come trattamento di prima linea, in casi selezionati, in combinazione con le modifiche dello stile di vita, per ottenere maggiori benefici sulle comorbilità».

«Negli ultimi anni, l’introduzione di nuovi farmaci ha rivoluzionato il panorama terapeutico, rendendo possibili riduzioni ponderali comparabili a quelle ottenibili con la chirurgia bariatrica», osservano gli esperti. «Ad esempio, il Naltrexone-Bupropione, che combina l’azione dell’antagonista dei recettori oppioidi μ con l’inibitore della ricaptazione di dopamina e noradrenalina, induce sazietà e riduce l’alimentazione emotiva tramite l’aumento della pro-opio-melanocortina».

«Con un dosaggio pieno di due compresse a colazione e due a cena (32/360 mg/die), il Naltrexone-Bupropione consente una perdita di peso media di circa il 6%. È indicato per pazienti con alimentazione emotiva, come quelli affetti da binge-eating, ma è controindicato in caso di patologie quali tumori del sistema nervoso centrale o compromissioni epatiche gravi», continuano gli specialisti.

«Per i farmaci ad azione intestinale, l’Orlistat rappresenta un’opzione valida», proseguono gli esperti. «Inibendo selettivamente le lipasi pancreatiche, riduce l’assorbimento dei grassi alimentari fino al 30%, con una perdita di peso media di 5,8 kg. È particolarmente utile in pazienti con dislipidemia e regimi alimentari iperlipidici, ma comporta effetti collaterali come diarrea e meteorismo».

«Tra i farmaci anti-obesità che agiscono sui meccanismi ormonali, il Liraglutide e il Semaglutide si distinguono per efficacia», osservano gli specialisti. «Il Liraglutide, un agonista del GLP-1, rallenta lo svuotamento gastrico e riduce l’appetito, portando a una perdita di peso dell’8%, mentre il Semaglutide, con azione prolungata, raggiunge una riduzione ponderale del 14,9%, risultando particolarmente indicato per pazienti con MAFLD, pre-diabete o DM2».

«Infine, il Tirzepatide, doppio agonista del GLP-1 e del GIP, combina l’aumento della sensibilità insulinica con una riduzione degli effetti collaterali, come la nausea, consentendo una perdita di peso fino al 20,9%, un risultato straordinario», concludono Lener e colleghi.

«I farmaci di questo gruppo presentano controindicazioni comuni, tra cui pancreatite acuta o cronica, sia attuale che pregressa, colelitiasi, colecistite e una storia personale o familiare di carcinoma midollare della tiroide», osservano gli esperti.

«Per migliorare la tolleranza e aumentare la compliance durante la terapia con analoghi del GLP-1 o doppi agonisti GIP/GLP-1, è utile adottare alcune strategie», commentano Lener e colleghi. «Tra queste, la rotazione dei siti di iniezione (cosce, addome, parte prossimale del braccio), un adeguato apporto di liquidi e fibre in caso di stipsi e l’utilizzo di cicli di probiotici in caso di diarrea. Inoltre, si consiglia di consumare porzioni piccole, masticando lentamente per mitigare la nausea, e di assumere l’ultimo pasto almeno due ore prima di dormire per ridurre il reflusso. Si raccomanda di evitare attività fisica post-prandiale e di integrare multi-vitaminici per prevenire eventuali deficit».

«È fondamentale aumentare le dosi del farmaco solo in assenza di sintomi o se la dose attuale risulta inefficace», proseguono gli specialisti. «Gli studi dimostrano che la terapia farmacologica offre ottimi risultati nella gestione del peso e delle complicanze, ma tali effetti tendono a scomparire progressivamente alla sospensione del trattamento».

«Per questo motivo, la terapia dovrebbe essere cronica, prevedendo eventualmente dosi di mantenimento più basse, variabili in base alle necessità individuali del paziente», concludono Lener e colleghi.

Tratto da: Endocrinologia33, 25 marzo 2025